8.0
- Band: STEVE HACKETT
- Durata: 00:51:14
- Disponibile dal: 22/01/21
- Etichetta:
- Inside Out
- Distributore: Sony
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C’è un’idea che è stata giustamente ribadita e ricordata a più riprese durante lo scorso 2020, mentre tutto il mondo si ritrovava più o meno segregato in casa per fare fronte all’emergenza Covid-19: la musica è stato un grande conforto per l’animo. Ci ha permesso di avere un po’ meno paura quando eravamo spaventati o ha alleviato la noia quando non sapevamo come passare il tempo chiusi in quattro mura, mentre le persone che di musica ci vivevano hanno ricevuto in cambio infinitamente meno di quanto hanno dato (ma questo è un altro discorso…).
Qualcuno potrebbe immaginare che anche il nuovo album di Steve Hackett abbia tutte le carte in regola per dare sollievo alle nostre inquietudini dopo tanti mesi di attesa: un disco acustico, delicato, interamente strumentale, registrato in solitudine con il solo aiuto dello storico tastierista Roger King ed il contributo a distanza di alcuni amici e musicisti provenienti da varie parti del mondo. Invece “Under A Mediterranean Sky”, pur con tutte le caratteristiche finora citate, è un disco spietato. Steve Hackett attraverso la musica ci accompagna in un lungo viaggio intorno al Mar Mediterraneo e, nel farlo, sembra impegnarsi nel volerci ricordare con devastante vividezza tutto quello che oggi ci manca. Il nuovo album dell’ex Genesis parla di libertà, di vento sulla pelle e sole che scotta, racconta la musica del mare e le storie dei popoli bagnati dalle sue acque azzurre. Ci porta in Grecia, in Spagna, in Francia, nel Medio Oriente e ovviamente anche in Italia. Ci ricorda, se mai ce lo fossimo dimenticati tra un live-streaming e un filmato su YouTube, che la musica non è solo un insieme di note, ma è quell’esperienza che ci ha permesso di visitare luoghi nuovi e che un concerto non è solo quello che accade quando si spengono le luci in sala, ma è anche tutto quello che viviamo da quando varchiamo la soglia di casa. “Under A Mediterranean Sky”, insomma, sarebbe ‘solo’ un disco eccellente, ma calato nel nostro contesto attuale, diventa una pugnalata, malinconica e bellissima.
Hackett, come è noto, ha sempre amato affiancare alla sua carriera ‘elettrica’ anche numerosi lavori acustici e orchestrali. Ultimamente questo aspetto della sua arte era rimasto temporaneamente sospeso, tanto che dobbiamo tornare indietro di dodici anni per incontrare un disco con caratteristiche simili, ovvero quel “Tribute” in cui il chitarrista rendeva omaggio ai grandi maestri del passato e in particolare ad Andrés Segovia. Questa nuova situazione, invece, ha fatto sì che molte delle idee musicali raccolte nel corso dei suoi viaggi potessero essere portate a compimento, in attesa di riprendere tutte le attività (live e non) con la sua band. Rispetto agli altri capitoli discografici della carriera acustica di Hackett, in questo disco troviamo ancora la fascinazione del chitarrista per la world music, con un particolare taglio etnico che traspare con maggior forza nei brani dedicati all’Oriente come “Mdina (The Walled City)” e “The Dervish & The Djin”. Uno dei maggiori pregi dell’opera, comunque, è la sua perfetta capacità di ricreare le atmosfere del luogo a cui si ispirano, dando un’enorme varietà stilista ad un lavoro che non stanca e non annoia mai. Abbiamo quindi composizioni per sola chitarra classica, come “Adriatic Blue” e “Joie De Vivre”, luminose rievocazioni di civiltà antiche (“The Memory Of Myth”), immancabili tributi alla tradizione spagnola (“Andalusian Heart”), reminiscenze classiche (“Sonata Scarlatti”) e paesaggi bucolici (“Casa Del Fauno”, impreziosita dal flauto traverso del fratello, John Hackett). Il chitarrista funge da perno centrale intorno a cui ruotano gli arrangiamenti, dosando sempre tecnica sopraffina ed eleganza, dando il giusto spazio alle orchestrazioni di Roger King ed agli strumenti etnici, che spesso diventano protagonisti assoluti, in un dialogo che arricchisce entrambe le parti.
Un altro lavoro strabiliante, dunque, per un artista che pur avendo raggiunto i settant’anni sembra essere ancora baciato da un’ispirazione florida e fuori dal comune. L’unico avvertimento che ci sentiamo di dare è quello che abbiamo già espresso in apertura: dopo essere stati cullati dalle onde azzurre del Mediterraneo, tornare a chiudersi in casa, nel grigio e nel freddo dell’inverno, sarà ancora più difficile.