8.0
- Band: STEVE HACKETT
- Durata: 00:55:37
- Disponibile dal: 30/03/2015
- Etichetta:
- Inside Out
- Distributore: Universal
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Stephen Richard Hackett rappresenta l’archetipo del chitarrista innovativo, dotato di pregevole gusto compositivo e raffinata tecnica esecutiva, ispirata in egual misura dalla musica classica e dal blues. Noto al grande pubblico per aver militato nei Genesis, il musicista britannico ha concretizzato la sua prolifica vena artistica con una serie di album solisti rimasti ben distanti dal fragoroso clamore delle capienti arene degli anni Ottanta. A onor del vero è opportuno ricordare che il protagonista ha conquistato per un istante una discreta notorietà nel 1986 con i GTR, progetto nato in collaborazione con Steve Howe degli Yes, protagonisti di un ottimo lavoro di squisita matrice AOR. Di recente il buon Steve ha compiuto la giusta scelta di non rimanere ancorato ai vetusti schemi progressivi eretti in un contesto remoto, avvalendosi saggiamente di una moltitudine di collaborazioni con alcuni dei suoi discepoli (tra cui spiccano Mikael Åkerfeldt degli Opeth e Steven Wilson dei Porcupine Tree) che hanno permesso al Nostro di mantenersi al passo con i tempi. Non stupisce dunque che un disco come “Wolflight” risulti fresco e moderno, elegantemente avvolto da sontuosi intarsi barocchi che ci trascinano in un magnetico vortice sonoro denso di spunti avvincenti. La roboante intro “Out Of The Body” ci trascina con toni perentori in un contesto dal marcato gusto cinematografico, abilmente illustrata da una miscela di suadenti e contrastanti emozioni. La title track è meritevole di esaltare per l’ennesima volta la straordinaria abilità alle sei corde del musicista britannico, il quale non ha paura di inasprire i toni grazie ad un riffing spesso ed elettrico. La sua ugola, pur non essendo particolarmente virtuosa, è dotata di una straordinaria capacità narrativa che si palesa in tutto il suo splendore nell’oscura “Love Song To A Vampire”, distinto poema ricco di inquietanti umori vampireschi. La ruota delle meraviglie di “The Wheel’s Turning” è avvolta da un marcato gusto fiabesco, ottimamente musicato da un rilassato andamento ‘pop’, che raggiunge il suo climax nell’ispirato ritornello. I paesaggi dell’antica Grecia vengono ridisegnati con toni elegiaci in “Corycian Fire”, sorta di “Kashmir” riveduta ed aggiornata con l’ausilio degli strumenti non convenzionali come l’arpa e il duduk. Il discorso appena intrapreso prosegue con toni meno austeri nell’intermezzo “Earthshine”, prima di esplodere nel variopinto arcobaleno di “Loving Sea”, episodio permeato da un curioso gusto ‘freak’. Oscuri presagi si addensano sulla singhiozzante sincope di “Black Thunder”, ottimamente sorretta da un riff portante incisivo e accattivante che funge da ponte ad una sequenza di fraseggi solisti potenti e drammatici. “Dust And Dreams” è sorretta da un groove circolare sospeso tra sogno e realtà, solidissimo e funzionale ponte per la conclusiva coda di “Heart Song”, che ci permette di scorgere la luce alla fine di questo viaggio avventuroso, creato ad hoc da un artista troppo spesso ricordato soltanto per una piccola parte del suo illustre passato. Da avere.