6.5
- Band: STEVE VAI
- Durata: 00:58:41
- Disponibile dal: 14/08/2012
- Etichetta:
- Favored Nations
- Distributore: Audioglobe
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Erano ormai sette anni che aspettavamo il nuovo album di Steve Vai. Sette anni estremamente frenetici e pieni di impegni collaterali per il virtuoso italo-americano, che lo hanno distolto temporaneamente dalle sue scadenze solistiche; ora è giunto il momento di concentrarsi sul nuovo album, e di consegnarci “The Story Of Light”, seconda parte di una trilogia la cui terza e ultima parte per il momento è solo nella mente e nelle intenzioni dell’artista. Ad un primo ascolto generale rimaniamo spiazzati dall’anima sprigionata dal lavoro: un’anima duplice, da un lato preoccupantemente stanca e oseremmo dire annoiata, e dall’altro rinvigorita. Questo è il dualismo che per chi scrive rappresenta “The Story Of Light” anche dopo innumerevoli ascolti. Stiamo parlando di un artista dalla carriera trentennale, che ha dedicato tutta la sua vita allo strumento e alla composizione; concediamoglielo un momento di stanchezza, che peraltro lui stesso probabilmente sta cercando di scacciare rinvigorendo la sua proposta dopo la parentesi più soft (peraltro a nostro avviso validissima) del precedente “Real Illusions: Reflections”. L’album, complessivamente più rock-oriented che nel recente passato, cresce lentamente ad ogni ascolto, perché Vai rimane un signor interprete, e anche quando sembra limitarsi al ‘mestiere’ è in grado di tirare comunque fuori qualcosa di interessante. A dimostrarlo i due pezzi in apertura, per esempio, dotati di melodie tutto sommato interessanti, o “Creamsicle Sunset”, dal sound hawaiiano, che ci ha ricordato per un attimo i Mr. Bungle di “California”. Non abbiamo compreso la coppia di pezzi “John The Revelator” (di Blind Willie Johnson) e “Book Of The Seven Seals”, impreziosite dalla prova maiuscola della vocalist Beverly McClellan ma anche prevedibili nella loro deriva gospel. Il pezzo che ci ha colpito di più è sicuramente “Gravity Storm”, dove le dita di Vai ci raccontano la storia del pezzo, con sonorità spaziali e riff notevolmente appesantiti, proprio a richiamare il concetto di gravità. Il pezzo numero sette poi, da sempre il ‘lentone’ dei dischi del numerologo Steve, in questa occasione è sprecato con l’inconcludente “Mullach a’ tSi”. Va un po’ meglio con la già edita “The Moon And I” (stortissima nelle melodie vocali ma estremamente affascinante) e con l’epica “Weeping China Doll”. Poi concludiamo con tre pezzi sostanzialmente di mestiere, poco ispirati moderatamente tediosi (in particolare “No More Amsterdam”, scritta ed interpretata con la cantautrice statunitense Aimee Mann). Non possiamo nascondervi pertanto che ci aspettavamo qualcosa di più, e dopo aver visto Mr. Vai alla prova dal vivo non dubitiamo che le forze torneranno già a partire dalla prossima prova in studio. Per ora ascoltiamo, e riascoltiamo, questo discreto album, sperando con il tempo di fare pace anche con gli scivoloni presenti.