STEVE VON TILL – Alone In A World Of Wounds

Pubblicato il 19/05/2025 da
voto
8.0
  • Band: STEVE VON TILL
  • Durata: 00:41:03
  • Disponibile dal: 16/05/2025
  • Etichetta:
  • Neurot Recordings

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Con i Neurosis in situazione di stallo forzato (e forse perenne?) dati i tristi fatti riguardanti Scott Kelly venuti alla luce nel 2022, non si può dire che Steve Von Till si sia perso d’animo, trovando ispirazione per scrivere in quasi cinque anni due lavori solisti e la trilogia “Triptych” a nome Harvestman.
Dopo il meraviglioso “A Life Unto Itself” che vestiva il suono acustico e tipicamente americano dei dischi precedenti con elementi di musica ambient, il suono del Von Till solista muta in qualcosa di ancora più etereo e sospeso, fino ad arrivare a un lavoro, “No Wilderness Deep Enough”, dove la chitarra, uno strumento che ha sempre fatto da fondamenta per la scrittura di Steve, viene quasi totalmente abbandonata.
Se escludiamo “A Deep Voiceless Wilderness” di fatto la versione strumentale di quel disco, questo nuovo “Alone In A World Of Wounds” esplora e evolve questo approccio per la seconda volta di fila, lasciando a pianoforte, violoncello e sintetizzatore il compito di costruire strutture musicali sature di vuoti, con una distanza tra i vari strumenti più vicina alla musica ambient che non al rock, e una sensibilità melodica pregna di quella cultura folk americana fatta di soffusa malinconia connessa a grandi spazi aperti nei quali si perde ogni contatto con la modernità.
Gli otto brani qua presenti sono un dettagliato affresco di come l’uomo riesca ancora oggi a dialogare con ciò che lo circonda, “da solo in un mondo di ferite” come recita appunto il titolo di un’album in cui i titoli stessi delle canzoni descrivono da soli stati d’animo attraverso visioni di paesaggi di desolazione. “The Corpse Road” fa muovere l’aria con profondi droni che danno fisicità al vibrare di archi e a preziosi inserti di corno francese, mentre la voce di Steve, col suo timbro caldo e basso, funge da collante per un sound delicato ed elegante.
“Calling Down The Darkness” fa del minimalismo la sua caratteristica principale con fields recording, synth analogici, vagamente ritmici ed una struttura su cui crescono pochi ma preziosi accordi di pianoforte e viola. Un brano stupendo, con un’intensità degna dei Neurosis più crepuscolari ma senza la componente ‘fisica’ del loro suono.
Su binari simili “Watch Them Fade”, che riprende le atmosfere di un disco come “If I Should Fall To The Fields” ma le trasla su coordinate più oniriche, o come “Horizons Undone”, sorta di colonna sonora per un ipotetico viaggio tra le desolate lande americane – e uno dei pochi momenti in cui compare una chitarra.
“Distance” è la canzone più vicina alle atmosfere di un genere come l’americana, con una timida chitarra elettrica e una batteria in shuffle a dare corpo e movimento, mentre diametralmente opposta è l’inquietante “Old Bent Pine”, con la voce di Steve accompagnata solamente da droni di sintetizzatori, suoni quasi psichedelici e rumori di sottofondo, per un brano onirico e spettrale.
“River Of No Return” chiude il cerchio con delicati arpeggi impreziositi dal violoncello di Brent Arnold (già con Myrkur) e un’interpretazione vocale davvero notevole e sentita, che lascia dietro di sè una sensazione di malinconia sincera e intensa.
Un lavoro più caldo rispetto al precedente, se possibile ancora più minimale e figlio delle sperimentazioni, a livello sonoro, del trittico a nome Harvestman, ma che vive di un’anima propria. Una sensazione di collasso pervade ogni secondo degli otto brani, trascinandosi dietro i resti di una tragedia consumatasi in secoli di storia umana. Se i Neurosis erano la colonna sonora perfetta per la catastrofe, “Alone In A World Of Wounds” ne rappresenta l’attimo di silenzio immediatamente successivo.

TRACKLIST

  1. The Corpse Road
  2. Watch Them Fade
  3. Horizons Undone
  4. Distance
  5. Calling Down The Darkness
  6. The Dawning Of The Day (Insomnia)
  7. Old Bent Pine
  8. River Of No Return
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