8.5
- Band: STEVEN WILSON
- Durata: 01:04:02
- Disponibile dal: 29/09/2023
- Etichetta:
- Virgin
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Un nuovo album di Steven Wilson è sempre un evento in grado di generare un’ondata di discussioni, per la portata del personaggio, per l’accanimento di fan che lo seguono in maniera ossessiva e per le aspettative che riesce a generare; in questa occasione, l’uscita del suo settimo disco da solista segue quei “To The Bone” e “The Future Bites” che tanto avevano fatto parlare per una sorta di allontanamento dalle radici prog e, a rincarare la dose, è stata salutata da una campagna mediatica martellante che ha alimentato a dismisura l’attesa.
L’occhialuto cantante/chitarrista è sicuramente un artista sopra le righe, ma è innegabile che, dietro una certa supponenza di facciata, si celi uno dei più brillanti musicisti degli ultimi tre decenni, capace di scrivere musica memorabile con le sue band ed attivo in decine di altri progetti, anche in veste di produttore. Il legame di Wilson con il prog, che per molti suoi ascoltatori dovrebbe essere indissolubile per definizione, nasce da un malinteso, ossia dal legare il suo nome solo ai Porcupine Tree quando, invece, gruppi del suo passato come No-Man e Bass Communion hanno esplorato con ispirazione e voglia di sperimentare ambiti differenti come l’art pop, l’ambient o la dance.
Questa lunga premessa è certamente necessaria per comprendere “The Harmony Codex”, un viaggio di oltre un’ora nell’universo del musicista inglese, che non fa altro che confermarne lo strabiliante talento ed una poliedricità fuori dal comune, andando a lambire tutte le sfaccettature di una carriera lunga e contraddistinta da scelte mai scontate; probabilmente, il risultato sarà quello di accontentare e scontentare tutti allo stesso modo, ma si sente che questi pezzi sono nati con lo spirito giusto.
Il titolo proviene da un breve racconto apparso sulla sua recente autobiografia “A Limited Edition Of One” ma, a dispetto di ciò, l’album non sembra seguire un filo conduttore e, soprattutto a livello musicale, questa mancanza di coesione, più che una debolezza, appare un punto di forza: la vena elettronica si intreccia alla perfezione con una ritrovata anima prog, dando luogo a dieci pezzi eterogenei ma che funzionano come non accadeva da parecchio tempo. Sarebbe limitativo affermare che “The Harmony Codex” sia una specie di sunto di ciò che Wilson ha fatto in passato, ma non è sbagliato pensare che, questa volta, egli sia partito dai propri punti fermi per proporre qualcosa di definitivo, evolvendo le proprie idee in ogni direzione possibile (leggasi: sia in direzione Porcupine Tree, sia in direzione opposta).
I beat sono praticamente onnipresenti, come nella fredda “Inclination”, che suona molto Depeche Mode, o in “Actual Brutal Facts”, un incrocio tra l’industrial dei Nine Inch Nails ed il trip hop dei Massive Attack, mentre “Beautiful Scarecrow” possiede la tensione narrativa tipica di Tricky.
A dispetto dell’intempestiva uscita dello scorso anno, in cui Wilson si mostrava disinteressato a riprendere in mano la chitarra, le sei corde ci sono in abbondanza, come nell’emozionante sequenza elettroacustica di “What Life Brings” (che potrebbe essere un estratto da “OK Computer”) e in “Staircase”, uno dei pezzi in cui le distanze con i Porcupine Tree, soprattutto i primi, si riducono in maniera evidente, nonostante l’invadente utilizzo dell’elettronica; l’altro è sicuramente “Impossible Tightrope”, la canzone più lunga e più prog di tutto l’album, pinkfloydiana periodo “Atom Heart Mother”, psichedelica, complessa e con tanto di sax, in assoluto uno dei momenti migliori di Wilson solista.
I Pink Floyd si sentono ancora, e anche molto, nell’ipnotica title-track, mentre con la delicata “Rock Bottom” torna la fidata cantante israeliana Ninet Tayeb, in una ballata ottantiana che sarebbe l’unico momento debole dell’album, non fosse per la sua versatile voce. Un’ulteriore annotazione: si è parlato tanto di audio spaziale e del tentativo di creare un’esperienza sonora immersiva anche in studio; ebbene, di qualsiasi cosa si tratti, questi pezzi hanno un suono praticamente perfetto.
“The Harmony Codex” non è, ovviamente, l’opera che va a riscrivere i canoni della musica pop come le note introduttive ci portano a credere, ma semplicemente una delle migliori espressioni di un artista con una creatività instancabile e meravigliosamente disordinata, che non sempre ha messo tutti d’accordo.
Wilson è a proprio più agio qui di quanto lo fosse su “Closure/Continuation” (che, a scanso d’equivoci, non era da buttare, ma aveva il difetto di suonare piuttosto ‘di maniera’), eppure inaspettatamente va a riprendere più di qualcosa dalla sua band principale: parrebbe una contraddizione, ma fa tutto parte della personalità inintelligibile di questo musicista di classe superiore. Discuterne le scelte serve a poco, meglio fermarsi ed ascoltare: questa volta i dubbi sono veramente pochi.