9.0
- Band: STEVEN WILSON
- Durata: 00:54:03
- Disponibile dal: 25/02/2013
- Etichetta:
- Kscope Music
- Distributore: Audioglobe
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Lo straordinario talento musicale dell’artista Steven Wilson è sotto gli occhi di tutti: in oltre vent’anni di carriera ha composto e inciso dischi memorabili sotto i nomi Porcupine Tree, Blackfield, No Man, Steven Wilson, senza dimenticare le numerose collaborazioni, spesso in veste di produttore con band del calibro di Marillion, OSI, Anathema, Dream Theater, Orphaned Land e ovviamente Opeth, da cui è nata anche l’idea dell’ennesimo progetto Storm Corrosion. La passione e la devozione di Wilson per la musica è qualcosa di inimmaginabile e non si spiegherebbe altrimenti la sua prolificità, un amore sempre vivo che ha portato il musicista britannico a sollecitare l’ascolto musicale su supporti adeguati, includendo spesso e volentieri il 5.1 nelle sue pubblicazioni. Un Wilson, quello che si presenta con la sua terza opera solista, ambizioso come sempre e vintage per certi versi, se pensiamo all’incredibile idea di registrare la parte strumentale del disco in presa diretta, ma allo stesso tempo umile nel lasciare ai suoi musicisti Guthrie Govan (chitarra), Nick Beggs (basso), Adam Holzman (Keys, hammond, piano, minimoog), Marco Minnemann (batteria) e Theo Travis (flauto, sax e clarinetto) la scena dal punto di vista strumentale, accontentandosi di cantare e suonare qualche parte di chitarra, basso e tastiera, senza dimenticare il mellotron, quello originale che i King Crimson utilizzarono nel loro debutto “In The Court Of The Crimson King”. Già, i King Crimson… tra le tante cose fatte, negli ultimi anni Wilson si è dedicato a rimixare tre dei loro titoli più famosi, un lavoro appassionante che l’ha sicuramente ispirato nella stesura di questo “The Raven That Refused To Sing”, un disco puramente progressive, privo di regole definite, composto da sei brani di durata media elevata, ognuno dei quali racconta una storia incentrata sul tema del soprannaturale. La registrazione della parte strumentale in presa diretta rende l’incedere di alcuni frangenti ancor più incisivo ed emozionante, il lavoro di produzione e mixaggio è ad opera del leader, che ovviamente ha anche scritto e arrangiato le varie tracce, mentre per il ruolo di ingegnere è stato scelto niente meno che Mr. Alan Parsons, uno che prima di dedicarsi al suo progetto solista si è scomodato in console per un certo “The Dark Side Of The Moon”. Il risultato di questa collaborazione, cooperazione di talenti pazzeschi e menti geniali è assolutamente in linea con le aspettative: “The Raven That Refused To Sing” è un’opera straordinaria che non ha la pretesa di essere capita da tutti perché non si piega a nessuna regola di mercato, seguendo il proprio istinto di libertà assoluta dall’inizio alla fine. L’inizio firmato “Luminol” l’avevamo assaggiato con ottime impressioni già nell’ultimo live della ‘Wilson Band’ e mette subito in chiaro le cose con oltre dodici minuti di musica, un inizio basso-batteria alla Squire e Bruford (Yes) e continui saliscendi ritmici, dove il cantato non recita un ruolo da protagonista ma si allinea all’atmosfera generale rafforzata dai bellissimi arrangiamenti sinfonici. Sulla stessa linea progressiva l’ottima “The Holy Drinker”, in cui emerge l’apporto di Theo Travis al sax, mentre per assaporare tinte più soffuse ci sono “Drive Home” e la stessa titletrack, rafforzate dagli archi sontuosi della London Session Orchestra. Bellissimo il crescendo emotivo di “The Watchmaker” e, quanto a “The Pin Drop”, si fa apprezzare sin dalle prime battute con linee vocali sognanti, favorita anche da un minutaggio umano. Immergersi nei racconti oscuri, talvolta gotici di Wilson è un viaggio bellissimo, la musica è visionaria, segue sempre l’intensità della storia e a rafforzare l’immaginario c’è anche il curatissimo booklet con le raffigurazioni di Hajo Mueller. Cercare di capire “The Raven That Refused To Sing (And Other Stories)” in una decina di ascolti non è cosa facile, attraverso la musica emergono nuovi particolari, suggestioni o si colgono meglio talune atmosfere ogni volta che lo si rimette nello stereo. E’ sempre difficile se non impossibile, a volte, prevedere il futuro, ma questo disco è destinato a restare negli anni una stella luminosissima del firmamento progressive.