7.5
- Band: STILL WAVE
- Durata: 00:42:48
- Disponibile dal: 28/06/2024
- Etichetta:
- These Hands Melt
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Il primo nucleo degli Still Wave ha origine a Roma, fondato lo scorso anno dal chitarrista Luca Fois (Aetheris, Blind Horizon) e dalla tastierista Eliana Marino (presente nell’album, ha poi lasciato il posto a Tomas Aurizzi, Aborym) ed ha assunto una forma definitiva con l’ingresso di Daniele Carlo (batteria), Manuel Palombi (Blackosphere, basso) e Valerio Granieri (cantante dei Rome In Monochrome).
Il disco di esordio, “A Broken Heart Makes An Inner Constellation” (masterizzato da Øystein G. Brun dei Borknagar), è intriso di poetica malinconia, tra coldwave, squarci di doom, ritornelli con un piglio decisamente pop e qualche sprazzo di black metal; musica che si posiziona in uno spazio immaginario, a metà strada tra i Katatonia di “Viva Emptiness” e i Paradise Lost di “One Second”, e che non vuole stupire con chissà quali soluzioni, ma soltanto emozionare con la sua semplice profondità. Avere influenze marcate non equivale a proporre qualcosa di scontato, anzi, qui a colpire è la capacità di creare atmosfere in cui domina l’inquietudine, in quel perenne equilibrio tra romanticismo e disperazione, in cui spesso indugia l’animo umano; un viaggio introspettivo che è già insito nel titolo, con un cuore spezzato che è visto come l’inizio di un’esperienza luminosa piuttosto che come la fine della corsa.
Per portare a galla questo dolore, i musicisti romani utilizzano un linguaggio che è fatto di riff penetranti ed arpeggi sconsolati, spesso ripetuti per scavare ancora più a fondo, una batteria secca ed essenziale, discreti inserti di tastiera ed una voce asciutta ed imperscrutabile che sembra osservare da lontano e solo raramente si libera in urla di sofferenza. L’aria rarefatta che si respira in “Spaceman (With A Gun)” è già indicativa di ciò che ascolteremo nel resto dell’album, con sonorità shoegaze che ne mitigano la severità; “Dead Ends”, con i suoi ritmi incalzanti ed un recitato in italiano nella parte centrale, potrebbe essere un estratto da “Discouraged Ones”. L’intensa “Ghost Of A Song” è il momento in cui si percepisce maggiormente la solennità dei Paradise Lost ed una strofa accattivante rappresenta il momento più orecchiabile del disco, mentre il motivo principale di “The Coldest Home” ricorda i My Dying Bride per poi dissolversi in una cantilena desolata.
Gli Still Wave si muovono in territori sicuramente già battuti, ma sono in grado di dare vita ad un pugno di canzoni che abbracciano poche tonalità, se non qualche gradazione di grigio, e che conquistano fin dal primo ascolto. E’ chiaro il riferimento a suggestioni new wave anni ’80, ma la durezza delle chitarre che si intersecano ai suoni delle tastiere ne mantiene intatta la matrice metal, in pezzi densi e taglienti, ideali per accompagnare la sfida ai propri demoni interiori.