6.5
- Band: STONE SOUR
- Durata: 01.05.14
- Disponibile dal: 30/06/2017
- Etichetta:
- Roadrunner Records
- Distributore: Warner Bros
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Gli Stone Sour ripartono dal garage dove è stata generata la “Burbank Duology” orfani di Jim Root, che ha abbandonato polemizzando su una svalutazione di un gruppo, nelle parole dell’artista, in cerca di airplay e soldi. In effetti questo “Hydrograd” è ideologicamente lontano da un concept album viscerale e cerebrale come “House Of Gold And Bones” – ad oggi la vetta artistica della band – e non ci vogliono troppi ascolti per capirlo. Ideato come un disco diretto che svolta verso il rock n’ roll, e registrato live in studio per le medesime motivazioni, “Hydrograd” a livello di ambizione trattiene solo l’ecletticità, caratteristica che permette a Corey Taylor di sperimentare tutto quello che non può buttare negli Slipknot. L’album è diviso tra pezzi radiofonici, melodici e asciutti e composizioni più tirate, mescolate ed alternate nella lunga tracklist. Quel che si nota in generale è un calo di ispirazione nella seconda parte del disco, dove il trascinante alt-metal di “Taipei Person/Allah Tea” e “Knievel Has Landed” diventa una riproposizione light degli Silpknot (“Whiplash Pants”) o ricorda la confusione di “Lords Of Summer” dei Metallica (“Somebody Stole My Eyes”). Anche “Mercy” potrebbe essere tranquillamente esclusa a parere di chi scrive, proporla come estratto è quasi follia. Pur essendo superficiali brani come “Song #3”, “Fabuless” e “Rose Red Violent Blue…” funzionano a dovere, e siamo altrettanto sicuri “St.Marie” garantirà una tempesta ormonale tra le file del gentil sesso. Succede così che gli episodi più raffinati come “Friday Knights” e “When The Fever Broke” finiscono per confondere e spiazzare l’ascoltatore, facendoci dubitare sul fatto che tutta questa diversificazione sia effettivamente positiva. La sensazione è che levando qualche pezzo e impostando una direzione precisa “Hydrograd” potesse essere un buon album, forse col contributo di un produttore di polso o forse ridimensionando l’ego del mastermind. Da un certo punto di vista però è giusto così: l’uomo al microfono è sicuramente una leggenda contemporanea, e non solo è in grado di esprimersi nei diversi registri ma sostiene interamente la baracca col suo carisma e la sua energia. Se gli Stone Sour di oggi sono ‘solo’ il suo giocattolo, il suo divertimento, questi si è meritato tutto il diritto di possederlo.