9.0
- Band: STONE TEMPLE PILOTS
- Durata: 00:46:59
- Disponibile dal: 07/06/1994
- Etichetta:
- Atlantic Records
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Anche se la scena grunge è storicamente associata alla piovosa Seattle – da dove provengono i suoi ‘Big 4’: Alice In Chains, Nirvana, Pearl Jam e Soundgarden – pure la più assolata California, già terra promessa della scena hair metal prima e del pop punk dopo, ha dato un contributo importante al genere grazie a band come Hole, L7 e, soprattutto, Stone Temple Pilots.
Attivi già dalla fine degli anni Ottanta con il nome di Mighty Joe Young, la band di San Diego dopo aver firmato per la Atlantic si vede costretta a cambiare il proprio nome per l’omonimia con un bluesman di Chicago, così che quando l’album d’esordio, “Core”, esce a settembre del 1992 gli Stone Tempie Pilots vengono bollati come emulatori di Pearl Jam e Alice In Chains, critica non del tutto infondata alla luce delle somiglianze (anche nella mimica) con Eddie Vedder.
Nella realtà però gli STP affondano le proprie influenze nell’hard rock degli anni Settanta e Ottanta, e con il loro secondo disco decidono di mostrare al mondo che sono qualcosa di diverso, partendo dall’esotico artwork di copertina con logogrammi in cinese.
In realtà, l’opener “Meatplow” affonda ancora le radici nel Seattle sound che aveva fatto la fortuna di “Core”, così come le percussioni tribali e il basso col wah-wah di “Vasoline” non avrebbero sfigurato su “Vs.” dei Pearl Jam, ma da qui in poi comincia un viaggio affascinante in cui la carezzevole timbrica di Scott Weiland ci accompagna in universi paralleli magistralmente dipinti dai fratelli De Leo (chitarra e basso).
Scorrendo la tracklist è possibile trovare la psichedelia zeppeliniana di “Lounge Fly” e “Sivergun Superman”, il country alternative dell’inno generazionale “Interstate Love Song”, il folk di “Pretty Penny” (vicina per la verità alle atmosfere ‘unplugged’ dei Nirvana) e finanche il blues rock di “Big Empty”, pezzo reso famoso anche grazie anche all’inclusione nella colonna sonora de “Il Corvo”.
Tra le schitarrate selvagge di “Army Ants” e gli arpeggi melanconici di “Kitchenware & Candybars” c’è un abisso di emozioni in cui gli Stone Temple Pilots sono abili a trasportarci, fino alla sorprendente conclusione di “My Second Album” (traccia nascosta dal sapore lounge squisitamente rètro).
Pur senza scrollarsi di dosso tutte le similitudini con i Big 4 di Seattle, queste dodici graziose melodie confermano come gli Stone Temple Pilots siano molto che semplici emuli della scena grunge, guadagnandosi un posto nell’Olimpo del rock grazie all’inconfondibile voce di Scott Weiland e dall’estro creativo dei fratelli De Leo.