5.5
- Band: STORMBORN
- Durata: 00:39:14
- Disponibile dal: 26/04/2024
- Etichetta:
- Rockshots Records
Spotify:
Apple Music:
Undici lunghi anni sono passati dalla release dell’omonimo album di debutto degli inglesi Stormborn, intervallo temporale in cui il quintetto britannico ha portato a casa ben pochi risultati tangibili, se non consideriamo un paio di date con gli italiani Rhapsody Of Fire e uno o due complimenti fatti dal virtuosissimo chitarrista (e velocista) Herman Li dei Dragonforce.
Il secondo album dei Nostri aggiunge ben poco ad un lavoro in apertura già di per sé poco ispirato e globalmente noioso: lo stile proposto dai cinque musicisti londinesi si incentra prevalentemente sulla tecnica che, specialmente sul profilo chitarristico, risulta essere la vera e propria colonna portante su cui si basa l’intero album.
Le nove tracce presentate in “Zenith” sono un mischione tra l’heavy metal dei primi Maiden, una spolverata di thrash in stile Megadeth e un cantato che si alterna tra raschiati hard rock (alla Lemmy, per intenderci) e acuti gorgheggianti, spesso non supportati da una tecnica canora degna di questo nome; come si nota in “Land Of The Servant King”, pezzo di apertura che infatti spinge l’ugola del cantante Christopher Simmons troppo al di fuori della propria zona di comfort.
Gli interminabili assoli al fulmicotone non mancano mai e regalano all’ascoltatore una lunga maratona di scale, legati, tapping e sweep picking selvaggi in cui ogni pausa musicale sembra avere il solo obiettivo di essere rimpinzata con quante più note possibili: il risultato è un album caratterizzato da brani potenzialmente interessanti come i singoli “Fear Of The Monster” o “Serpentine”, che finiscono per diventare dei meri esercizi di tecnica chitarristica, in cui ogni briciolo di creatività brucia nel fuoco della velocità e dello shred più furioso.
Una nota di merito va sicuramente all’inserimento di intro e intermezzi puramente strumentali che che donano all’ascoltatore un attimo di respiro, e sarebbero stati meglio utilizzati per creare un contesto sonoro e dipingere un continuum melodico invece di far semplicemente raffreddare il distorsore, come avviene in “The Unending Night”, palesemente ispirata da “Blood Brothers” degli Iron Maiden.
Arrivati finalmente all’ultima traccia, ci si rende conto con rammarico che con “Zenith” gli Stormborn ci regalano un album mediocre rilasciato dopo una decade in cui si sarebbe dovuto lavorare meno sul metronomo e più sulla grande assente di questo lavoro: la creatività.