7.0
- Band: STORMWITCH
- Durata: 00:52:11
- Disponibile dal: 29/06/2018
- Etichetta:
- Massacre Records
- Distributore: Audioglobe
Spotify:
Apple Music:
Il penultimo album “Season of the Witch” ad opera dei teutonici Stormwitch, uscito ormai tre anni fa, a suo tempo non fece certo gridare al miracolo, anzi, potremmo dire che fu accolto in maniera relativamente fredda da tutti coloro che speravano, dopo ben undici anni di silenzio, di trovarsi davanti a un lavoro che ricordasse almeno in parte gli altissimi livelli raggiunti da questa band negli anni ’80, grazie a dischi di indiscutibile valore come il lugubre esordio “Walpurgis Night”, il fantasioso “Stronger Than Heaven” e quant’altro. Certo, non si trattava di un album completamente mal riuscito, ma decisamente al di sotto rispetto a ciò che ci si aspetterebbe, o quantomeno si desidererebbe, da una band che, nel suo piccolo, è stata comunque una delle principali avanguardie dell’heavy metal made in Germany; quest’anno parrebbe che la loro intenzione sia quella di riprovarci con il nuovo “Bound to the Witch” edito, come il precedente, presso Massacre Records. Dopo una inquietante intro, l’album inizia con la cadenzata “Songs of Steel”, che per certi versi ci rammenta alcune produzioni di band di genere heavy/power più recenti quali ad esempio i danesi Iron Fire, soprattutto per il feeling trasmesso dal timbro del vocalist Andy Aldrian che, se si tratta di rimanere sulle tonalità medie, sembra quasi provenire dall’ugola di un trentacinquenne, perdendo forse qualche leggero colpo nelle fasi più acute pur mantenendosi, anche in quei momenti, su livelli più che buoni; ciò si può notare ad esempio alla fine del ritornello della successiva e ben riuscita “Odins Raven”, dopo la quale si comincia a fare un po’ di headbanging con “The Choir Of the Dead”, per poi rallentare nuovamente con la orecchiabile titletrack e la malinconica “Arya”, che comunque non ci fa mancare anche qualche sprazzo di adrenalina. Particolare l’idea di includere nella tracklist di quest’album una canzone intitolata come la band, cosa che di solito i gruppi tendono a fare nei dischi di esordio o comunque in lavori ancora relativamente freschi di formazione; in questo caso il brano è alla stregua degli altri che lo hanno preceduto, quindi non particolarmente veloce e con delle melodie e delle fasi cantate di facile assimilazione in cui è sempre il timbro del sopracitato vocalist a farla da padrone, pur non mancando pressoché ovunque un guitar work comunque ben studiato e curato a dovere. Sulle tracce successive non c’è poi molto da dire che non sia già stato detto in riferimento alle precedenti, a parte la conclusiva “Nightingale”, che svolge anche il ruolo di unica ballad effettiva di tutto il lavoro, anch’essa gradevole seppur non particolarmente ricca di spunti interessanti. Segnaliamo inoltre che, nell’edizione digipack dell’album, sono presenti ben tre bonus track, che altro non sono se non dei classici, provenienti dal periodo d’oro degli Stormwitch, ri-registrati e collocati in questo contesto per fornire un accenno di sano fan service; una soluzione già vista e che a molti può stuzzicare la curiosità anche se, potendo scegliere, in questo caso noi stessi preferiamo mettere mano alla nostra collezione di dischi così da avere modo di ascoltare le versioni originali. Alla luce di tutto ciò, possiamo dire che ci sia qualità in questo album? Beh, sicuramente sì e rappresenta senza dubbio un discreto passo in avanti rispetto al predecessore, tuttavia risulta difficile non notare in entrambi una determinata problematica che ora vi esponiamo: l’orecchiabilità di fondo in un disco heavy metal è tutto sommato una cosa buona, ma in questo caso sembra che in ogni singolo brano l’intenzione fosse quella di proporre qualcosa di anche troppo semplice da assimilare, togliendo di fatto quel senso di freschezza che dovrebbe intercorrere magari tra un ascolto e l’altro, o anche solo con l’avanzare della tracklist che, in questo modo, risulta leggermente monotona, e questo viene ulteriormente enfatizzato da un songwriting relativamente prevedibile come scelte strutturali e in generale per quanto riguarda le soluzioni adottate anche se, fortunatamente, la totalità del prodotto riesce comunque ad apparire ben riuscita e i singoli elementi ben amalgamati. Anche l’essenza grezza appare ridotta rispetto a quanto ci si sarebbe aspettato, ma si tratta di problematiche tutto sommato soggettive e interpretabili, le quali trovano quindi fondamento in base ai gusti dell’ascoltatore, che con un filo di apertura mentale potrà certamente trovare di che essere positivo nel giudizio di questo album dove comunque, a prescindere da ciò che abbiamo detto fin ora, a parer nostro non è presente nemmeno una canzone brutta o anche solo vagamente sgradevole, il che è più che sufficiente per permetterci di dare un buon voto. Speriamo magari in un’occasione per vederli dal vivo, anche per giudicare con un orecchio diverso queste undici tracce così cantabili.