6.5
- Band: STRANGER VISION
- Durata: 00:45:59
- Disponibile dal: 08/11/2024
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Gli Stranger Vision giungono al loro terzo full-length, dopo due ottimi album quali “Poetica” e “Wasteland”. Come di consueto, la band emiliana cerca di proporre la propria visione musicale, sempre ricca di riferimenti letterari: se il disco precedente era infatti ispirato al poemetto “La Terra Desolata” di Thomas S. Eliot, stavolta il soggetto prescelto è quello, certamente anche più celebre, del “Faust” di di Johann Wolfgang von Goethe, in cui, com’è noto, il protagonista stringe un patto con il diavolo.
A tal riguardo, la band opta però per articolare la trama nell’arco di due album, per cui questa prima parte s’intitola appunto “Faust – Act I, Prelude To Darkness”.
Questa scelta, come vedremo, ha inevitabilmente delle conseguenze ben precise: ad ogni modo, la tracklist inizia in modo molto classico, con un’intro strumentale, per poi partire con degli ottimi brani, nel loro tipico stile caratterizzato da un metal melodico, con venature prog e neoclassiche. Già da “Strive” si nota come gli Stranger Vision cerchino un approccio quanto mai tecnico, soprattutto nel lavoro chitarristico di Riccardo Toni, davvero di altissimo livello, ma anche veloce e potente, con una sezione ritmica dirompente e la voce di Ivan Adami che si sforza di apparire quanto più “cattiva” e grintosa possibile.
Davvero molto bella “Nothing Really Matters”, dove compare in veste di guest James LaBrie dei Dream Theater, ma non sono niente male neanche i successivi brani “Look Into Your Eyes” e il più melodico “Two Souls”, dove Adami duetta con una voce femminile, quella di Angelica Patti.
A seguire, dobbiamo però riscontrare come la tracklist prosegua un po’ a singhiozzo, con altre canzoni intervallate da varie tracce orchestrali o che fungono da intro, le quali hanno l’effetto di spezzare troppo il ritmo del disco. La scelta di optare per un concept album porta in molti casi a lasciarsi troppo ‘ingabbiare’ dalla trama e ad inserire magari una serie di temi o di intermezzi che possono essere possibilmente funzionali ad essa, ma che dal punto di vista musicale non sono poi magari proprio imprescindibili.
Quest’aspetto è ulteriormente complicato dal fatto che non solo si tratta di un concept album, ma questo disco ne rappresenta soltanto la prima parte, perciò facciamo davvero fatica ad esprimere un giudizio pienamente convinto, non avendo una visione d’insieme.
Peraltro, la manciata di canzoni che ritroviamo nella seconda parte della tracklist non ci sembra caratterizzata da un songwriting brillante alla stessa stregua dei primi brani: non ci convince particolarmente “In Principium”, dove peraltro non ci suona gradevole neanche l’effetto dato dall’alternanza tra latino e inglese nel ritornello. Su “Dance Of Darkness” c’è una maggiore presenza di tastiere che funziona molto bene e ci è piaciuta molto, ma è per contro un po’ debole il refrain, così come non ci entusiasma “Carpe Diem”, dove alcuni passaggi sono veramente belli, ma nell’insieme alcune soluzioni non ci convincono; ci sembra invece funzionare un po’ meglio la successiva “Fly”, che ci ha fatto un po’ pensare ai Temperance nella costruzione delle linee vocali e melodiche. La conclusiva “New Life” è un altro pezzo orchestrale, che lascia un totale senso d’incompiutezza, rimandando inevitabilmente alla seconda parte.
Insomma, se gli Stranger Vision finora ci avevano abituati a dei lavori di grande impatto, in qualche modo diretti ma allo stesso tempo meritevoli di essere approfonditi e in grado di crescere con gli ascolti, con questo nuovo album, pur dopo un’ottima partenza, ad un certo punto appare tutto piuttosto dilatato, spezzettato, inframmezzato da cose diverse rispetto alle quali non s’intravede ancora una visione d’insieme che consenta di tirarne le fila. Anche l’ispirazione dei brani appare poco spontanea, tirata a forza per essere incanalata nella trama e nelle tematiche trattate.
Ci riserviamo dunque di poter esprimere un giudizio più convinto una volta che avremo ascoltato la seconda parte: per adesso, è evidente che in questa manchi qualcosa, quanto meno a livello narrativo, ma anche a livello musicale non ritroviamo, se non a sprazzi, la solita brillantezza e le lucide intuizioni che ci avevano tanto fatto apprezzare i primi due album.
La bravura dei musicisti, il talento e la professionalità ci sono tutti, quindi anche questo atto primo è gradevole e ben fatto, però evidentemente paga un po’ questa scelta di fondo nel suo essere parziale ed interlocutorio: non escludiamo, comunque, che potrà essere rivalutato e valorizzato maggiormente una volta che l’opera sarà completa.