7.0
- Band: STRATOVARIUS
- Durata:
- Disponibile dal: //2003
- Distributore: Audioglobe
Ed ecco come dichiarato, puntuale come un orologio svizzero, la nona fatica in studio degli Stratovarius, a distanza di tre anni dal precedente “Infinite”, periodo in cui i singoli componenti della band hanno avuto modo di dedicarsi a se stessi, ricaricando le batterie con un più o meno lungo periodo di riposo o dedicandosi a singoli side-project. Si è detto di tutto in questo (per la verità non molto lungo) lasso di tempo: che i cinque power-metaller finnici fossero in crisi (d’altra parte è spesso bastata la qualità delle loro ultime uscite in studio a far sorgere questo sospetto); che fossero sull’orlo dello scioglimento; che la creatività fosse esaurita per sempre e che ormai “Infinite” sarebbe stato l’ultimo loro full-lenght. Niente di tutto ciò, fortunatamente, per tutti gli aficionados degli Stratovarius: il 2003 li vede protagonisti di questo nuovo “Elements Pt.1”, che risolleva la band dalle ultime critiche e lascia anche intraprendere un immediato seguito. Passiamo dunque alla cosa che tutti voi più aspettate, cominciando col dire subito, per fugare ogni dubbio e paura, che chi ama il tipico trademark dei cinque finlandesi può stare tranquillo: non c’è stata nessuna commercializzazione o scelta atipica, e le sonorità in casa Tolkki e Kotipelto rimangono sempre le stesse (per la gioia di tutti gli Strato-fan e dei loro detrattori, che continueranno ad etichettarli, come accade da un po’ di tempo a questa parte, come band votata alla staticità). Tralascio la produzione (perfetta, come sempre, ma c’era da chiederselo?) e comincio l’analisi dei pezzi con un appunto su “Eagleheart”, opener dell’album e singolo scelto come apripista per “Elements Pt.1”, pezzo già ampiamente criticato da molti, tacciato di eccessiva commercialità e (ovviamente) di staticità fine a se stessa; ebbene, “Eagleheart” rappresenta né più nè meno ciò che “Hunting High And Low” aveva rappresentato per “Infinite”: una song dal sapore molto commerciale (probabilmente più commerciale dell’altro pezzo sopracitato, se non la più commerciale mai scritta dagli Stratovarius), e devo dire che a me l’esperimento tentato dagli Stratovarius con queste opener (che li caratterizzano in questo disco e in “Infinite”) piace molto, sempre che si limiti la cosa ad un solo pezzo di questo tipo per album, visto e considerato l’altissimo coinvolgimento, in fatto di melodie e semplici arrangiamenti, che queste canzoni sanno dare. Detto ciò passo oltre, e comincio col dire che fino alla quinta traccia la qualità del disco si mantiene altissima; a contribuire a questo apsetto questo troviamo “Soul Of A Vagabond” (ottima song dal riffing heavy quanto basta e dalla giusta componente melodica), la successiva “Find Your Own Voice” (pezzo-capolavoro che assurge al titolo di migliore canzone dell’album; in pratica un ritorno ai gloriosi fasti di “Visions”, una song molto veloce e dotata di un andamento catchy e di un refrain azzeccatissimo, dove ancora una volta Timo Kotipelto rivendica lo scettro nella categoria “cantanti metal che raggiungono la tonalità più alta”), la variegata (mi riferisco ovviamente alla struttura del pezzo, e non alle sonorità) “Fantasia” (pezzo da dieci minuti che alterna momenti di semi-ballad ad un classico riffing speed) e, dulcis in fundo, “Learning To Fly”, un’altra classica speedy song in puro stile Stratovarius che farà felicissimi tutti gli amanti dei pezzi tirati a mille con doppia cassa a manetta e ritornelli da cantare a squarciagola. Fino a qui tutto bene (anzi, meglio, visto quel che mi aspettavo dopo un disco fondamentalmente scialbo e privo di idee come “Infinite”), ma purtroppo gli Stratovarius non riescono a mantenere una così eccellente qualità di songwriting nei restanti pezzi dell’album, anche se essi risultano comunque quasi sempre buoni e godibili. Troviamo così “Papillon” (episodio piuttosto anonimo, che ha nell’eccessiva lentezza e ripetitività i suoi punti deboli), la tutto sommato inutile ma comunque buona “Stratofortress” (breve strumentale neoclassica, a detta della band il pezzo più veloce che abbiano mai composto), la lunga suite “Elements”, che risolleva la qualità del disco a discapito degli ultimi pezzi e, come di consueto, una ballad acustica finale, che risulta ancora meno appetibile della recente “Celestial Dream” (è chiaro che ormai non riusciremo più a godere dei fasti di “Forever” vista la qualità decrescente delle ultime ballad acustiche scritte da Tolkki nella sua band madre…). Conclusione: il disco è indubbiamente bello, e fa dimenticare quel passo falso che è stato “Infinite” e, anche se da un nome blasonato come gli Stratovarius ci si può (e ci si deve) aspettare anche di più, per tutti coloro che idolatrano la band si tratta di un acquisto obbligato… per tutti gli altri, che invece non annoverano la band finnica tra i propri gruppi preferiti, il mio consiglio è di pensarci due volte prima di comprare un disco che, seppur godibile e di buona qualità, dopo i primi ascolti successivi all’acquisto è innegabilmente destinato a scomparire nelle più recondite profondità del fidato box porta-cd…