9.5
- Band: STRATOVARIUS
- Durata: 01:00:59
- Disponibile dal: 28/04/1997
- Etichetta:
- T&T Records
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Il 1997 è stato l’anno in cui il power metal sembrava essere la ‘next big thing’ del decennio successivo: un momento di creatività senza confini in cui uscirono dischi incredibili (dello stesso anno l’esordio dei nostri Rhapsody con “Legendary Tales” e “Angels Fall First” dei Nightwish), destinati a fare scuola e a segnare intere generazioni di metallari. Gli Stratovarius arrivavano ad appena un anno da quel gioiello di “Episode”, con questo “Visions”: un disco semplicemente epocale. Parlare dell’impatto che questo album ha avuto su gran parte del metal è difficile, e andrebbe fatto direttamente con chi si emozionò e decise di prendere in mano uno strumento grazie ad esso (qualcuno ha detto Sonata Arctica?): gran parte di questa immane storia è racchiusa nel DVD “Infinite Visions”, un must-have assoluto per qualsiasi fan della band di Helsinki, che racconta ‘on the road’ il leggendario tour che seguì l’uscita del disco (bellissima la clip dell’ingresso del pubblico all’Acquatica di Milano). Non c’è da stupirsi: la band arrivava già da due prove in studio memorabili, specialmente grazie all’ugola d’oro di Timo Kotipelto e all’ingresso nella band di quel genio delle pelli che risponde al nome di Jörg Michael (con all’attivo già decine di dischi con band di livello come Mekong Delta, Running Wild e Grave Digger), oltre che a un sound tutto particolare dato dalla malinconica chitarra di Timo Tolkki e da una produzione assolutamente superba.
Questo disco è ciò che si potrebbe dire figlio del suo tempo: generato dalla disillusione e dal desiderio di evasione che pervade molti album, anche non metal, usciti negli anni Novanta, “Visions” raccoglie in sé la summa del virtuosismo della band, che non si limita però solo a tecnica sterile e senz’anima. Un pozzo profondo nel quale perdersi, a cominciare dalle note del basso che danno il via a “The Kiss Of Judas”, con il suo incedere malinconico e struggente che ne farà uno dei cavalli di battaglia della band per i decenni a venire. Ed è la malinconia a permeare tutto l’album, il fil rouge fatto dai fiocchi di neve che cadono sui boschi finlandesi e dal senso di isolamento che molti nordeuropei, fra cui il nostro Tolkki, si sono sempre portati dentro: “Black Diamond”, hit ormai consegnata alla storia grazie al neoclassicismo della tastiera di Jens e a un coro impossibile da dimenticare, è solo l’accelerata dopo il primo pezzo, alla quale segue un’altra traccia immortale dal titolo di “Forever Free”. Non c’è un pezzo fuori posto in “Visions”, nemmeno quelle due canzoni che non sono diventate hit: “Before The Winter” e “The Abyss Of Your Eyes”, entrambe in un certo senso ballate e momenti di riflessione, hanno il loro senso inserite in mezzo a una serie di pezzi che hanno fatto la storia del power metal e della nostra musica in generale.
Non si può negare che una marea di musica sia stata influenzata in qualche maniera dalla velocità e dai riff ‘a elicottero’ di “Legions”, inno di tutti i fan di vecchia data degli Stratovarius, dalla cavalcata di “Forever Free” e dall’incedere battagliero di “Paradise”. Gli assoli di Tolkki e quelli di Jens, la doppia cassa lanciata a mille di Jörg, il basso martellante e tutt’altro che in secondo piano di Jari e l’incredibile voce di Timo Kotipelto erano tutto quello che ci voleva per comporre quest’ora di disco che ha cambiato la storia, prendendo il virtuosismo ‘alla Malmsteen’ e aggiungendogli quella malinconia che solo Timo Tolkki riuscì ad afferrare, come rende bene la strumentale “Holy Light”, uno ‘scherzo’, come direbbe uno studioso di musica classica, di altissimo livello, immerso in una sinfonia indimenticabile. “Coming Home”, struggente incedere raccontato dalla voce di Kotipelto, è solo l’antipasto della titletrack, che riprende alcuni dei passaggi delle profezie di Nostradamus sulla guerra e sulle catastrofi climatiche, anticipando i temi a cui poi gli Stratovarius avrebbero sempre attinto anche con i dischi più recenti: una summa delle composizioni di Timo Tolkki in dieci minuti che vanno a chiudere l’album.
Quello che iniziò con “Visions” fu un intero sommovimento: nel giro di un paio d’anni, le canzoni avrebbero travalicato i confini del formato fisico per riversarsi nei primi sistemi di file sharing (Napster apre i battenti nel 1999) che le resero, di fatto, note anche a chi il metal non lo ascoltava tutti i giorni. Non parliamo poi della testimonianza di “Visions Of Europe”, ultimo disco con la T&T per Tolkki e soci, lo spettacolare live estratto dalle quarantasei date (dovevano essere molte meno, ma i promoter continuavano a chiedere nuovi concerti) dove gli Stratovarius erano sul tetto del mondo. “Visions” ha travalicato talmente tanto i confini del metal da diventare la colonna sonora di molti adolescenti che vissero quel periodo, nonché, come scrivevamo sopra, una fonte di ispirazione incredibile per chi prese in mano uno strumento per la prima volta. Alla fine, i pezzi di questo disco hanno finito per diventare davvero l’affresco della malinconia di fine millennio: un magone adolescenziale in un periodo nel quale i cinque finlandesi toccarono davvero il tetto del mondo. Purtroppo, sappiamo com’è andata a finire, anche se, orfani di Tolkki, i nuovi Stratovarius di Jens e di Kotipelto hanno finalmente ritrovato una strada per scrivere ottimi dischi, ma “Visions” resta e resterà per sempre un capolavoro della storia del metal, uno di quei dischi che ancora oggi riesce ad attrarre nuovi ascoltatori per la classe, l’incredibile perizia con il quale è stato composto e per le emozioni che trasmette.