7.5
- Band: STRAY FROM THE PATH
- Durata: 00:38:48
- Disponibile dal: 09/09/2022
- Etichetta:
- UNFD
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Gli Stray From The Path sono attivi da un ventennio e continuano a rimanere rilevanti con metodica prolificità. La loro formula, agli esordi più vicina all’hardcore e con alcuni elementi math rock, si è evoluta e stabilizzata verso una versione bilanciata tra hardcore e rapcore quanto più emergeva la venerazione del gruppo per i Rage Against The Machine. Se questa forte influenza è stata leggermente mascherata nel precedente “Internal Atomics”, in questo decimo album in studio la ‘rabbia’ torna predominante in maniera inconsapevole e naturale. La grande necessità per un gruppo come gli SFTP è mantenere aggressività e naturalezza genuine, quando naturalmente dopo un ventennio e con la maturità si tende a un naturale spegnimento di questi sentimenti veraci: i newyorkesi rinnovano questi sentimenti grazie alla prolungata condizione pandemica, la quale nel lungo periodo di stop senza musica e senza lavoro è da loro stessi definita ‘miserevole’. La fame ha dunque incendiato i sentimenti del gruppo, che con “Euthanasia” si fa trovare in una condizione di rinnovata urgenza e dà vita ad uno dei dischi più oscuri ed incazzati della propria discografia.
Se escludiamo il break a metà disco di “Bread & Roses”, in cui Jesse Barnett degli Stick To Your Guns fornisce un ritornello lento e melodico, “Euthanasia” picchia duro senza ricalcare la proposta dei RATM: Drew York non si spreca nelle urla e non si limita a rappare, virando spesso e volentieri sui territori di Jason Aalon Butler (Letlive, Fever 333) con il suo timbro acuto, mentre dal punto di vista sonoro a volte ci sembra di ascoltare il rapcore spigoloso e iperdistorto dei primi Limp Bizkit (“The Salt In Your Spit”, “Ladder Work”). Per chi ama il lato più hardcore ci sono pezzi più che soddisfacenti in merito a gang vocals e breakdown (“Needful Things”, “Guillotine”), mentre i fan del groove e di De La Rocha salteranno comunque (“III”).
Mantenendo intatta ed esplicita l’invettiva socio-politica (in “Law Abiding Citizen” si tolgono molti sassi dalle scarpe, prendendo di mira tanto Zuckenberg quanto i negazionisti del cambiamento climatico, “Neighbourhood Watch” parla invece di razzismo) gli SFTP consegnano un altro disco velenoso e solidissimo. Qualcuno potrà dire che è un ‘more of the same’, ma come possiamo lamentarci di una formazione che continua ad esprimersi disco dopo disco su standard qualitativi altissimi, tanto che è difficile stilare una classifica degli album migliori in discografia?
Almeno qualcuno continua a lottare contro la macchina.