6.5
- Band: STREAM OF PASSION
- Durata: 00:50:15
- Disponibile dal: 06/05/2014
- Etichetta:
- Pias
- Distributore: Rough Trade Distribution
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La storia degli Stream Of Passion la si racconta abbastanza velocemente. Partita quasi una decina di anni fa come progetto della cantante di origini messicane Marcela Bovio e del suo mentore Arjen Lucassen, la band esce rapidamente dall’ala protettrice del polistrumentista olandese e intraprende un cammino indipendente, che li ha portati poi negli anni a rilasciare ben quattro lavori di cui l’ultimo, questo “A War Of Our Own”, proprio agli sgoccioli di questa indecisa primavera. Ma, nonostante questa storia invero piuttosto standard, dobbiamo ammettere che nel florido (soprattutto in questo periodo) mercato del metal sinfonico con cantato femminile, gli Stream Of Passion un po’ si sono sempre differenziati. Non tanto per il genere proposto, che in larga parte abbraccia ovviamente gli stilemi di Epica e Within Temptation, e nemmeno a causa di un contenuto tecnico/strumentale di particolare rilevanza. E’ piuttosto il mood, quell’approccio marcatamente malinconico e crepuscolare, il vero punto di differenziazione di questa band rispetto alla maggior parte dei nomi appartenenti ai ranghi del genere citato in precedenza. Decisamente più notturni dei Within Temptation, più riflessivi degli Epica e più intimisti rispetto a Delain e Diabulus In Musica, i Nostri fanno leva su sonorità che molto devono al progressive, lasciando un po’ da parte il lato ‘power’ del sound e colmando le lacune con qualche rimasuglio di musica gotica e romantica. Il risultato è un ritratto musicale a tinte fosche, un quadro armonico ove i confini sono più tratteggiati che definiti, e dove l’equilibrio tra musica e voce, tra parti elettriche e parti orchestrali tende ad essere piùttosto sfumato, veicolandoci un’impressione di compattezza e continuità. Caratteristiche che se da un lato, come dicevamo, ci descrivono una personalità piuttosto marcata, dall’altro vanno a parziale detrimento dell’ascolto, che rimane inficiato da una certa mancanza di impatto. Insomma, sentimenti contrastanti ci suscita questo quarto album, che se da un lato mostra un lavoro sopraffino effettuato a livelli di arrangiamenti e di atmosfere, dall’altro non fa segreto di essersi dimenticato dell’aspetto legato alla fruibilità della proposta. A questo punto si capisce bene come ci troviamo in presenza di un album molto curato, ma che non riesce sempre nell’intento di colpire o intrattenere l’ascoltatore. Alcuni pezzi, come l’opener “The Monster” o “Exile”, riescono anche a mostrarci tracce di una ritmica movimentata o di un buona cura della melodia nel ritornello, ma la bassa fruibilità di molti altri pezzi (la title-track su tutti, ma sorprendentemente anche brani tra quelli più delicati) continua a sprazzi a appesantirci l’ascolto, lasciandoci un senso di stanchezza che a volte sfiora la spossatezza. Peccato, perché squarci di pura arte come “Autophobia” (bellissima) o l’assolo finale di “Secrets” avrebbero meritato un palcoscenico ben diverso… Un album caratterizzato da luci e ombre, dunque, dove le ombre sono sia generate dai difetti di cui abbiamo parlato che dall’approccio notturno che i Nostri hanno alla composizione. Se lo comprerete, prestategli l’attenzione dovuta: ascoltato a casaccio, questo disco difficilmente vi colpirà.