7.5
- Band: STRYCHNOS
- Durata: 00:42:56
- Disponibile dal: 17/05/2024
- Etichetta:
- Dark Descent
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L’essere stato accolto nella line-up dei leader del movimento death metal danese Undergang, in qualche modo, deve aver spronato il cantante/bassista Martin Leth Andersen anche sul fronte delle cosiddette ‘questioni in sospeso’, rinfrancandolo di energie creative e di voglia di esprimersi con una libertà maggiore rispetto a quella concessagli dall’amico David Torturdød in opere come “Aldrig i livet” o “De syv stadier af fordærv”.
Da qui, il riavvio a pieno regime degli Strychnos, progetto risalente addirittura alla fine degli anni Novanta ma solo nel novembre 2022 arrivato a tagliare il traguardo del debut album con l’apprezzato “A Mother’s Curse”, e che oggi – sempre sotto l’egida della Dark Descent – si appresta a consegnare alle scene un nuovo full-length permeato di atmosfere macabre e mortifere. Un suono, quello del terzetto completato dal batterista Nis Rode Larsen (Cerekloth) e dal chitarrista Andreas Lynge (membro live di Myrkur), posto in un intrigante limbo death-black di modernità e tradizione, e che se nella prima sortita sulla lunga distanza era stato lasciato defluire in modo vorace e sferragliante, quasi a sottolineare la brama di recuperare il tempo perduto di Leth Andersen, nella quarantina di minuti di “Armageddon Patronage” assume una piega più rifinita, mesta e controllata; un flusso nel quale la Morte ha modo di essere celebrata in tutta la sua fatale necessità, ripresentandoci una band dalla visione artistica precisissima e dal tocco decisamente sensibile nonostante la crudezza dell’insieme.
Rimasta immutata la capacità di mescolare le influenze e giocare con le sfumature, al punto che continua a non essere semplice citare questa o quella band per inquadrare lo stile dei Nostri, la tracklist vede le ritmiche rallentare e il guitar work affinarsi, mentre il songwriting – molto più orientato sulla forma canzone – regala di riflesso quelle che potremmo definire le prime, vere ‘hit’ del repertorio, in grado puntualmente di farsi ricordare per un passaggio vocale, una melodia dolente o un cambio di tempo incisivo.
Nel momento in cui vengono adoperati (vedasi la title-track o la conclusiva “Nattevandreriden”) i blast-beat non smettono certo di protendersi in sfuriate considerevoli, ma la chiave di volta del disco è e resta un raccoglimento atmosferico in cui gli elementi doom e classic metal affiorano insistentemente dalla distorsione, con l’incedere dell’opener “Winds Warning the Final Storm” a settare un clima uggioso e drammatico che le varie “Choking Salvation”, “Pale Black Birds” e – soprattutto – “Endless Void Dimension”, brano principe della raccolta con i suoi arpeggi, i suoi cori e le sue voci pulite, rendono pressoché palpabile durante l’ascolto.
L’album definitivo grazie a cui la formazione di Copenaghen si imporrà all’interno del circuito black/death europeo? Forse è esagerato.
Di sicuro, un lavoro efficace e suggestivo, nel quale la formula degli Strychnos è stata espansa e portata su livelli di eleganza e carattere importanti, e che chi è solito seguire le uscite 20 Buck Spin, Profound Lore e Dark Descent (appunto), così come i fanatici del vecchio catalogo No Fashion e Black Mark Production, si troverà a riascoltare con cadenza ciclica. Sempre più personali, sempre più interessanti.