
8.0
- Band: STRYPER
- Durata: 00:44:43
- Disponibile dal: 20/04/2018
- Etichetta:
- Frontiers
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In questi giorni si è parlato del nuovo album degli Stryper anche grazie ad una curiosa disavventura che ha coinvolto la christian band più famosa al mondo: la catena di negozi Walmart, infatti, ha negato la vendita del disco a causa del titolo che, in inglese, suona fondamentalmente come un’imprecazione. La cosa, ovviamente, ha suscitato un certo sconcerto dato che tutto si può dire degli Stryper tranne che siano portatori di un messaggio negativo o immorale. Anzi, il messaggio del titolo è esattamente l’opposto, ovvero la speranza che una forza superiore condanni tutto il male del mondo. Sarebbe però estremamente riduttivo se il ricordo di questo “God Damn Evil” rimanesse relegato ad una nota di colore sulla sua distribuzione, visto che, prima di tutto, è un gran bel disco. Se già “Fallen” e “No More Hell To Pay” ci avevano convinto, il nuovo album conferma lo stato di grazia compositiva della band di Michael Sweet, riuscendo ad essere allo stesso tempo classico e al passo coi tempi. Se state pensando ad una di quelle formazioni sulla via del tramonto, dedite semplicemente allo stanco riciclo di sé stesse, potete stare tranquilli: non è il caso degli Stryper, che, anzi, col passare del tempo hanno addirittura alzato l’asticella dell’aggressività. Basterebbe ascoltare il pezzo di apertura, “Take It To The Cross”, un assalto metallico inedito per una band come loro, in cui addirittura troviamo dei passaggi in growling dell’ospite Matt Bachand (Shadows Fall, Act Of Defiance). Oppure possiamo ascoltare “Own Up”, con quelle chitarre grasse e groovy, o ancora “The Devil Doesn’t Live Here”, veloce e tagliente come una motosega. Eccellenti tutti i musicisti coinvolti, soprattutto per quanto riguarda le chitarre, efficaci sia in fase ritmica che solista, e naturalmente la voce di Michael Sweet. Nonostante la maggiore aggressività, rimane comunque inalterata la grande vena melodica del gruppo, capace di scrivere canzoni che rimangono impresse e che si lasciano cantare già dopo pochi ascolti: è il caso di “Sorry”, giustamente scelta come singolo di apertura, oppure della title-track, che promette di fare faville dal vivo. Impossibile chiudere, infine, senza citare “Lost”, solenne e maestosa con una ardita prova vocale di Michael che convince in pieno; e “Can’t Live Without Your Love”, tipica ballad ottantiana, un po’ di maniera, ma tutto sommato piacevole. Ecco, c’è tanto mestiere negli Stryper del 2018, non lo neghiamo, ma non va inteso come un limite: si tratta semplicemente dell’esperienza di chi conosce a menadito i suoi pezzi e, proprio per questo, può permettersi di uscire un po’ dalla propria comfort zone senza per questo perdere personalità. Un lavoro consigliato a tutti i fan degli Stryper (e non solo), che sancisce definitivamente una seconda giovinezza per Michael Sweet e compagni.