7.0
- Band: STRYPER
- Durata: 00:45:48
- Disponibile dal: 13/09/2024
- Etichetta:
- Frontiers
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I racconti biblici talvolta sono pervasi da una spietatezza capace di lasciare davvero esterrefatti. Prendiamo la storia di Giobbe: è un uomo ricco, ma giusto e fedele a Dio, conduce una vita retta ed è amato dalla sua famiglia e dai suoi servi. Satana, da buon tentatore, si reca da Dio e cerca di convincerlo che Giobbe, in realtà, è solo interessato a non contrariarlo, perché questo metterebbe a repentaglio le sue ricchezze e che la sua fede crollerebbe di fronte alle avversità. Dio, quindi, lascia che Satana riversi le peggiori tragedie sulla vita di Giobbe, facendogli perdere i suoi numerosi capi di bestiame ed arrivando a ucciderne (!) i figli nel crollo della loro casa. Giobbe, nonostante tutto non perde la sua fede, non bestemmia il nome del Signore e, come ricompensa, Dio raddoppia le sue ricchezze e gli dona altri figli (cosa che non avrà fatto poi così piacere ai figli già defunti, ma non stiamo a sottilizzare…).
Da questo racconto nasce il detto “avere la pazienza di Giobbe”, un detto che sembra essere tagliato su misura sulla vicenda degli Stryper.
La band statunitense ne ha passate davvero di ogni in questi ultimi anni: prima ad Oz Fox è stato diagnosticato un tumore molto aggressivo, poi Michael Sweet ha subìto il distacco della retina e ha quasi perso la vista, mentre lo scorso anno è stato operato per un cancro alla tiroide. Proprio come Giobbe, però, Michael non ha abbandonato la sua missione e gli Stryper oggi continuano a lodare Dio e si apprestano a celebrare il loro quarantennale con un album, “When We Were Kings”, che prosegue il percorso musicale intrapreso dalla band negli ultimi dieci anni.
Non ci sono grosse sorprese in questo nuovo capitolo, né sarebbe lecito aspettarci nulla di innovativo per una band con quarant’anni di carriera alle spalle. Gli Stryper continuano a scrivere ottimi brani heavy metal, con il giusto equilibrio tra impatto e melodie, grazie al solito eccellente uso dei cori e delle armonie. Michael Sweet resta un cantante solidissimo, almeno su disco, e le canzoni sono scritte e suonate con grande mestiere e cura. Rispetto ad altri capitoli recenti, questa volta i Nostri giocano più sui midtempo (“When We Were Kings”, “Rhyme Of Time”), valorizzando i cori e i ritornelli, lasciando meno spazio alle bordate più dirette come l’iniziale “End Of Days” o “Trinity”. Molto bella anche “Grateful”, una ballad ariosa che, viste le premesse fatte all’inizio, sembra davvero incredibile nel suo essere così sincera e sentita.
Certo, Michael è musicista che lavora con metodo, come un artigiano delle canzoni. Si dà delle scadenze, lavora in studio con regolarità, non aspetta che arrivi l’ispirazione misteriosa che sembra baciare quelle composizioni indimenticabili, e tutto questo si riflette un po’ sulla freschezza generale dell’opera. E’ un disco fatto per i fan, che sanno cosa aspettarsi e lo ottengono senza troppi giri di parole. Eppure, dopo tante vicissitudini, vedere una band che non solo non si scioglie, ma continua a pubblicare e a suonare dal vivo, riscalda il cuore. A volte serve la pazienza di Giobbe, certo, ma ne vale la pena.