6.0
- Band: SUBTERRANEAN DISPOSITION
- Durata: 01.00.29
- Disponibile dal: 13/06/2016
- Etichetta:
- Hypnotic Dirge Records
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Secondo album per Subterranean Disposition, progetto solista death-doom di Terry Vainoras, già attivo in diverse formazioni dell’underground australiano. Il disco arriva a quattro anni dall’omonimo debutto, di cui conserva l’essenza plumbea e cavernosa tipica della scuola inglese dei primi anni ‘90 (su tutti My Dying Bride e Anathema) con l’aggiunta di elementi non classicamente metal, quali strumenti etnici e il sax che fa capolino nella seconda traccia, “Wooden Kimono Fixative”, a creare un’atmosfera a tratti rilassata e sicuramente meno chiusa e opprimente. Con la seguente “Embittered” le trame sonore si arricchiscono di profumi esotici grazie al contributo della cantante e musicista iraniana Gelareh Pour, che offre spunti interessanti ad un brano altrimenti nella media, mentre “All Roads Lead To Perdition” mette in luce un lato più abrasivo e irruento, sconfinante nello sludge. I due pezzi successivi proseguono su questa via, alternando rallentamenti e parti tirate – pienamente in linea con la tradizione death-doom – cui si aggiungono melodie più aperte, quasi solari, e qualche sprazzo di modernità. Il mastermind e polistrumentista Vainoras si avvale in studio del contributo di altri due ospiti, ad occuparsi rispettivamente delle pelli e delle backing vocals: la varietà espressiva delle parti vocali (growl, cantato pulito e urlato secco e rugginoso tipico del post-hardcore) è perfettamente in linea con le diverse influenze presenti nelle composizioni. Un sicuro punto a favore è rappresentato dal tentativo di andare oltre le caratteristiche del genere, incorporando elementi diversi e lontani dagli stilemi classici – vedi il sassofono e gli strumenti tradizionali persiani – che però, pur non risultando fuori contesto, finiscono per svolgere un ruolo abbastanza marginale nel complesso dell’opera. Il connubio con questi elementi rimane l’aspetto più interessante di questo disco, che però soffre di composizioni troppo lunghe (intro a parte, ci troviamo sempre al di sopra dei dieci minuti) che finiscono per perdere mordente e faticano a tenere alta la concentrazione dell’ascoltatore. “Contagiuum And The Landscapes Of Failure” è un disco piuttosto ostico, che offre alcuni spunti interessanti ma non riesce mai realmente a decollare.