
6.0
- Band: SUDDEN DEATH
- Durata: 00:39:57
- Disponibile dal: 19/05/2025
- Etichetta:
- Time To Kill Records
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Definire travagliato il percorso dei Sudden Death potrebbe suonare persino come un eufemismo: attiva ufficialmente dalla fine degli anni Novanta, la band romana ha affrontato nel tempo un turnover innumerevole di musicisti, basando sempre la propria esistenza intorno alla figura di Andrea Pro, unico membro stabile del progetto.
Perso però per strada il proprio elemento portante, il gruppo si reinventa in una nuova formazione priva di membri fondatori, ma modellata progressivamente nella line-up che ha registrato “In Sinner Hate”, quarto lavoro in studio distante ben undici anni dalla precedente fatica discografica.
Come si potrebbe facilmente presupporre, i forti cambiamenti interni si riflettono necessariamente anche nella musica contenuta nel disco, che pur non tradendo le proprie origini saldamente ancorate al death metal old-school, inserisce elementi più tecnici e stratificati, arrivando a modificare parzialmente la proposta dei Sudden Death. Del resto, l’esperienza non trascurabile di Luis Maggio alla voce, o quella della coppia Cifuni/Mancini alle chitarre si fa valere con onore per quanto riguarda il comparto esecutivo, premiato da una produzione potente ad opera di Stefano Morabito, Marco Mastrobuono e Giuseppe Orlando, nomi ormai consolidati nella scena nazionale ed estera.
Assodato quindi uno stato di forma ritrovato per questa rinnovata creatura artistica, emergono purtroppo delle incertezze non appena ci avviciniamo al contenuto vero e proprio del disco, le canzoni: per quanto roboanti e d’impatto infatti, brani come “The Modern Pharisee” e “Destined To Fall” finiscono troppo presto per impantanarsi in midtempo stoppati molto prevedibili ed incapaci di donare personalità ed eclettismo a ciascun pezzo.
Un guizzo di vigore emerge nel riffing più acceso e nei ritmi dinamici di “The World Is Hate”, ma si torna ben presto alle solite formule compositive già dalla successiva “Living Corruption” ed i suoi ostinati interventi in palm mute. Emerge sensibilmente un certo senso di reverenza dimostrato dai nuovi arrivati verso lo stile precedente della band, quando in realtà sono proprio le trovate più moderne a rendere accattivante l’ascolto: lo dimostra con forza “Channelling Misery”, il brano migliore grazie al suo inizio intricato, una valida sezione solistica ed un finale atmosferico notevole, o i due colpi di coda finale a nome “Human Death Machine” e “The Human Demise”, dove, ancora, si cerca di abbandonare il vecchio percorso con soluzioni più personali.
“In Sinner Hate” si configura nel complesso come un lavoro piuttosto generico, privo di un’anima ben riconoscibile e di un’urgenza compositiva palpabile, ‘strozzato’ da musicisti sapienti che non hanno forse voluto osare abbastanza.