8.0
- Band: SUFFER YOURSELF
- Durata: 01:00:30
- Disponibile dal: 22/09/2023
- Etichetta:
- Aesthetic Death
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Ambizione, teatralità e suggestioni sfuggenti non debbono per forza condurre ad opere di ardito avanguardismo. Possono sostare, magari solo a tratti, in un canovaccio ben aderente a forme metalliche tradizionali e assai frequentate; prendendo quindi il largo verso orizzonti meno popolati quando ve n’è la necessità.
Nel pendolare tra smaccato cinismo death-doom e una vena atmosferica altrettanto torbida, maledetta ma con qualche caratteristica meno ovvia, i Suffer Yourself hanno sostanzialmente costruito questo loro quarto album. La creatura funeral doom di Stanislav Govorukha, musicista di origine ucraina da diversi anni trasferitosi in Svezia, risente dell’influsso di molteplici scuole di pensiero e, come in passato, si nota per dare peso più o meno equanime ad alcune spiccate caratteristiche del mondo funeral.
I Nostri non hanno alcuna vergogna nell’avvilupparci in dialoghi fumosi, sospesi nel vuoto, strascicati e indolenti: si crogiolano nella fanghiglia, vi si insozzano beatamente, oppure allungano le note verso infiniti crepuscoli, vagando tra armonizzazioni estaticamente distruttive, sostenute da un lavoro ritmico più inquieto e scattante. Su altri fronti, si dedicano a midtempo erculei vicini al modus operandi degli Incantation, così che l’anima death metal più turpe possa avere campo libero e disporre a piacimento dell’ascoltatore. Non mancano accelerazioni brucianti, in misura minore rispetto ad altri schemi del genere, ma quando arrivano, queste sono veramente incisive, brutali, come se non si dedicassero ad altro nella loro formula musicale.
“Axis Of Tortures”, concettualmente, va a comporre una specie di concept della sofferenza adempiendo a una logica quasi matematica-fisica, disponendo su immaginari assi cartesiani insanità mentale, dolore, disperazione, aggiungendo come quarta dimensione quella del tempo. Un modo fantasioso per ricordarci che, ovunque ci muoviamo nello spettro delle possibili forme dell’esistenza, una qualche forma di tortura ci segue e ci perseguita. Non se ne scappa. E non se ne fugge nemmeno nel quarto album dei Suffer Yourself, per quanto ogni possibile conformazione dell’afflizione ci viene descritta con metodi fantasiosi e spunti nient’affatto convenzionali.
Tralasciando le brevi intro e outro, il cuore dell’album è in quattro lunghe composizioni interpretate tra rigore cattedratico, voglia di eccentricità e plateale ricerca della distruzione, fisica e mentale. Accadono tante cose al loro interno, la band mostra una sua peculiare vena progressiva, muovendo gli strumenti quasi come se si stessero dedicando a complicate mosse su una scacchiera. Le note si fermano, inclinano, dipartono in ogni dove, affogando spesso in magmi indolenti, divisi tra brutalità death metal pura e la voglia di astrazione. È qui che ritornano le striature ambient che tanto spazio si erano prese nel precedente “Rip Tide”, mentre in questo caso conducono semplicemente a una forma più catatonica e diluita di death-doom.
È difficile descrivere perfettamente la commistione di luttuosità ed eleganza partorita in questi brani, portatori di una greve imponenza e nobiltà tipica di un nome come gli Evoken, ma asserviti a una logica leggermente diversa. Sono movenze che intervallano forza e cerebralismo, quelle degli Suffer Yourself, che non denotano alcuna debolezza qualsiasi siano le regole d’ingaggio.
Ogni traccia presenta un viaggio sonoro tutto suo, con caratteristiche collegabili alle altre ma un fiero carattere individuale. In alcuni casi emerge l’alone gotico e trame più soft e dilatate prendono il sopravvento (“Axis Despair”), altrove sono gli schiaffi del death metal a restare impressi (“Axis Insanity”), oppure lo sprofondare nel doom più minaccioso e perverso (“Axis Pain”). Quella che non passa mai è un’atmosfera unica è l’oppressiva, labirintica sofferenza che Stanislav Govorukha e gli altri musicisti promettevano di elargirci. Promessa mantenuta, da affidabili gentiluomini del funeral doom quali sono.
E un disco, “Axis Of Tortures”, che riafferma la plasticità del funeral doom, quando viene suonato con fantasia, ardore e tanta intelligenza compositiva.