7.5
- Band: SUFFER YOURSELF
- Durata: 00:32:54
- Disponibile dal: 25/06/2021
- Etichetta:
- Aesthetic Death
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I Suffer Yourself e l’arte di aderire perfettamente all’idea che ti puoi fare di loro, leggendone il nome, ammirando la copertina, il logo, il titolo dell’album. Terzo disco per loro, nati dall’idea del musicista polacco Stanislav Govorukha, ora emigrato in Svezia, dove ha costituito la line-up che ha suonato sul nuovo “Rip Tide”. Una piccola istituzione del funeral doom, un genere del quale si dà una rappresentazione vasta, molto dettagliata, che si scompone e ricompone in mille rivoli durante la monumentale opener “Spit In The Chasm”, costituente da sola due terzi della durata del disco. Qui c’è da andare in brodo di giuggiole, per chi ami il funeral massicciamente contaminato di death metal. Riffing pastoso, debordante di potenza, cupissimo, può aprirsi a una melodiosità insistita, progressiva, di ampissimo respiro; una panoramica di suoni gotici e magniloquenti, che attecchiscono tanto nel sostrato brumoso degli Evoken, quanto nella poesia immobile dei Mournful Congregation e, andando su un nome di nicchia qua di sovente rimembrato, gli eccezionali e purtroppo poco considerati Indesinence. Le sovrapposizioni di arpeggiati luttuosi e riff a lungo riverberati disegna una quadro tanto fosco quanto fantasmagorico, un rosario di note sfoggiante un’interpretazione tradizionale e ispiratissima del filone.
Le transizioni death metal, tra midtempo alla Incantation e incursioni di violoncello di struggente bellezza, si snodano impetuose, guidate da un drumming fantasioso e avido di distruzione, mentre le chitarre cantano doglianze e incutono rispetto, con quel loro ridondare severo, evocativo di morbosità e abbandono. Si muore più volte, nel lungo peregrinare di “Spit In The Chasm”, una suite funeral doom dal pressante alone gotico, magistrale dalla prima all’ultima nota, che non sfigura nemmeno nel cantato: basso, gorgogliante, minaccioso, sempre espressivo nonostante si assesti perennemente su note bassissime e paludose.
Piuttosto diverso lo scenario di “Desir de Trepas Maritime (Au Bord de la Mer Je Veux Mourir)”, che si consegna a tempi dilatati dal sapore di epitaffio. Un genuflettersi al fato, negativo e inesorabile, doom nel senso più ampio e solenne del termine. Solennità sottolineata, poco oltre la metà, da un recitato – in francese – odorante di catacombe, corpi in macerazione, candele ondeggianti nell’aria satura di miasmi. Se volete qualcosa che sappia pesantemente di ‘gotico’, sarete accontentati. Infine, resta un afflato di musica da camera e la decomposizione che tutto va a far tacere. Breve, con un taglio da soundtrack horror, tesa e gelida come certo materiale ambient dei Red Harvest, la conclusiva “Submerging”è una chiosa apprezzabile, peccato chiuda l’album dopo soli trentadue minuti e spiccioli. Durata da EP, dato il genere di competenza. Eppure, i contenuti sono così validi che possiamo perdonare questa concisione, qualità invero non così desiderata quando ci approcciamo a musica simile. Per stavolta, può andar bene così.