7.5
- Band: SUFFOCATION
- Durata: 00:41:22
- Disponibile dal: 03/11/2023
- Etichetta:
- Nuclear Blast
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Dopo il saluto a Frank Mullen di “Live in North America”, per i Suffocation è tempo di voltare definitivamente pagina e rilasciare quello che è forse l’album più difficile e delicato della loro monumentale carriera. Un’opera che, come ormai noto, vede l’espertissimo Ricky Myers (Disgorge, Sarcolytic) indossare una volta per tutte i panni di frontman della storica death metal band di Long Island, rimpiazzando anche in studio il membro fondatore e ponendo fine alla situazione ibrida dell’ultimo decennio, la quale – forse non a caso – è coincisa con un paio di lavori buoni ma col senno di poi poco longevi come “Pinnacle of Bedlam” e “…of the Dark Light”.
Pubblicato nuovamente da Nuclear Blast, “Hymns from the Apocrypha” mette quindi in palio una posta molto alta per il prosieguo di carriera del quintetto, e lo fa anche in virtù di scelte che prescindono dallo scomodo cambio di line-up menzionato poc’anzi, rimarcando nel suo dipanarsi convulso, inumano e sincopato un effettivo desiderio di rinnovamento e novità, come se il tutto fosse una sorta di ‘all-in’ coerente al momento storico dei Nostri.
Detto delle ovvie differenze tra Myers e Mullen, sia dal punto di vista tonale che metrico, questo nono full-length sceglie di spingersi ancora più in là abbracciando una resa sonora inedita e dando a parte del materiale un taglio sì inequivocabilmente death metal (e ci mancherebbe!), ma non poi così riconducibile alla tradizione del moniker o all’impronta di capolavori come “Effigy of the Forgotten” e “Pierced from Within”; una mossa sulla carta rischiosissima, ma che fortunatamente – a differenza di quelle compiute anni addietro dai Cryptopsy di “The Unspoken King” o dai Morbid Angel di “Illud Divinum Insanus”, volendo citare qualche altro veterano – non si traduce in un pasticcio discografico da denuncia alla polizia, anzi.
Restando sulla produzione, affidare il confezionamento dell’opera a Christian Donaldson – chitarrista proprio alla corte di Flou Mounier – fa sì che la forma dell’album abbia poco da spartire con i tipici suoni New York death metal dei capitoli precedenti, in un flusso potente, lucido e definito che ricorda appunto certa scuola canadese e che centra l’obiettivo di rilanciare con freschezza gli avviluppamenti e il profilo frastagliato del songwriting, qui tornato a viaggiare su binari complessi dopo la relativa semplicità e il marcato accento hardcore del 2017.
Lo stile però, come detto, non si può dire sia sempre e inequivocabilmente Suffocation, e su questo punto è probabile che le opinioni della fanbase si divideranno nonostante la qualità espressa dai nove brani della raccolta (inclusa una ri-registrazione dell’antica “Ignorant Deprivation”, con Mullen richiamato per questioni affettive al microfono e autore di una performance un po’ spenta). Nello specifico, non sappiamo quanto Myers o i giovani Eric Morotti (batteria) e Charlie Errigo (chitarra) abbiano contribuito alla stesura di “Hymns…”, ma fin dai cinque minuti della title-track – accanto ai soliti riff arzigogolati e ai pattern ora intricati, ora pesantissimi della sezione ritmica – l’impianto flirta con un’estetica più moderna e vicina al catalogo Willowtip/Unique Leader del periodo 2000-2008, risultando anche meno ‘soffocante’ in virtù dell’operato in cabina di regia di Donaldson.
Non stupitevi, quindi, se durante l’ascolto certi passaggi vi ricorderanno più il tocco di realtà come Severed Savior, Psycroptic e Beheaded piuttosto che quello seminale e inconfondibile della creatura di Terrance Hobbs: nel 2023, i Suffocation accettano di lasciarsi ispirare da alcuni loro seguaci, cosa che ovviamente, a seconda dell’angolazione da cui si decide di affrontare il discorso, può essere vista come un pro o un contro. Di fatto, qualcosa in termini di personalità è stato perso per strada, ma al contempo, proprio grazie alle suddette scelte stilistiche, i Suffocation riescono qui a confezionare un pugno di brani accesi e dinamici come non accadeva da tempo, rispondendo in maniera autorevole ai numerosi comeback della vecchia guardia degli ultimi mesi (Obituary, Incantation, Cannibal Corpse, ecc.).
A voi decidere se stare al gioco, apprezzando le comunque belle modulazioni di episodi quali “Dim Veil of Obscurity”, “Immortal Execration” e “Seraphim Enslavement”, o se rituffarvi sui classici.