7.5
- Band: SUICIDAL ANGELS
- Durata: 00:35:35
- Disponibile dal: 05/27/2016
- Etichetta:
- Noiseart Records
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Potremmo discernere per ore sulle evoluzioni, sulle idee nuove, sullo snaturamento o la stantia riproposizione-tributo di bla bla bla. Poi mettiamo in play e “Capital of War”, opener del nuovo full length dei Suicidal Angels, ci prende a mitragliate sulle gambe con uno di quei rari casi di tempesta perfetta: canzone velocissima, riffing chirurgico, parti vocali perfette, passaggio centrale a mid tempo e ritornello da urlare live. Il ritorno dei greci riconferma una band che suona imperterrita come i Sodom comandano ma con un’autonomia pazzesca nel proprio comporre thrash metal così come il thrash va fatto, dimostrando – va detto – un groove ed una sicurezza molto più marcate rispetto a dischi come “Bloodbath” o “Divide and Conquer”, che condannavano i Nostri ad essere dei cloni meno incazzati degli Slayer. Andiamo avanti, e si va di bene in meglio. I riff della title track sono taglienti e restano in testa dopo mezzo ascolto, e la sensazione è proprio quella che avete quando tirate fuori dal cassetto dei ricordi “Eternal Devastation”, “Persecution Mania” o “Eternal Nightmare”. Perché si tratta di un album suonato, ragionato e composto come una volta, e tanti saluti a produzioni moderne, commistioni tra generi e copertine che non siano esattamente un fumettone con marcescenti angeli della morte e soldati zombie (e non per niente dietro alla cover di “Division of Blood” c’è Ed Repka, già ai pennelli per Toxic Holocaust, Possessed, Vio-Lence). Stupisce trovare una band tanto fresca e concisa nella costruzione dei brani, anche alla luce dei precedenti lavori che si assestavano, come detto, su una celebrazione di genere piuttosto convenzionale, e si prosegue tra alti (molti) e pochissimi bassi, soprattutto verso il finale dove le munizioni rimaste sono quelle un po’ più canoniche e ripetitive, ma l’assalto di pezzi come “Eternally to Suffer” o “Set The Cities on Fire” (con la sua chiusura che non potrebbe essere più celebrativa di così del Sodom sound) o ancora “Image of The Serpent” – saggiamente scelta come singolo, vista una certa indipendenza al suo interno – hanno lasciato più corpi che prigionieri, e quindi tanto ben venga un finale un pelino meno diretto e più incentrato magari sull’epica (nel riffing e nella forma canzone, più che altro) come “Of Thy Shall Bring The Light”. In sostanza, gli ateniesi hanno tirato fuori un disco di thrash piuttosto imprescindibile per un thrasher e che potrebbe essere tranquillamente uscito nel 1987; il che non vuol dire, attenzione, peccare per quanto ad originalità: giri di chitarra ed assoli sono a modo loro freschi, all’interno del proprio circuito, la sezione ritmica è serrata e autrice di una prova eccellente e non ci sono scopiazzature bensì un forte rispetto nel ricalcare degli stilemi che sono – quelli sì – sempre gli stessi, ma sarebbe come lamentarsi che un gruppo power faccia cavalcate con la doppia onnipresente e i cori. Prendete questo disco e godetevi una mazzata che riesce ad ergersi, grazie all’enorme ‘tiro’ che sprigiona, all’interno di uno dei panorami più affollati di sempre, rischiando anche di venir ben ricordato a fine anno, almeno nel thrash. Buon ascolto.