7.0
- Band: SUNBURST
- Durata: 00:50:33
- Disponibile dal: 14/06/2024
- Etichetta:
- Inner Wound
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I Sunburst sono un gruppo greco che aveva esordito nel 2016 con l’album “Fragments Of Creation”: un disco interessante, nel quale si potevano intravedere grandi potenzialità, a nostro avviso però ancora un po’ da affinare. Sono dunque trascorsi un po’ di anni, nel corso dei quali la band ha potuto lavorare ulteriormente sul proprio stile e sul proprio sound. In effetti, sotto questo profilo, riteniamo siano stati fatti importanti passi in avanti, perchè lo stile risulta in linea di massima meno derivativo e il sound è alquanto omogeneo e presenta ormai una sua riconoscibilità: parliamo di un power/prog, con riff decisi e assoli dirompenti a cura del chitarrista Gus Drax, una sezione ritmica molto tecnica e la presenza di tastiere – curate da un veterano e maestro come Bob Katsionis – e orchestrazioni (alcune delle quali arrangiate da John K). Molto caratteristico, poi, il timbro del cantante Vasilis Georgiou, che ricorda molto quello di Roy Khan e, in effetti, i Kamelot e i Conception sono sempre stati tra i principali punti di riferimento del gruppo ellenico.
In particolare, le tracce di apertura e chiusura della tracklist, “The Flood” e “Nocturne” (quest’ultima è anche particolarmente ricca di orchestrazioni), sono quelle che presentano maggiori spunti prog, per quanto, comunque, non si riscontrino grandissime invenzioni o particolari colpi di genio. Insomma, i Sunburst hanno buone idee e un buon gusto melodico, però fanno ancora un po’ fatica ad uscire fuori da schemi in qualche misura preconfezionati, sulla scia di band come Dream Theater, Vanden Plas o appunto Kamelot. Rispetto a questi ultimi, poi, mancano un po’ della loro capacità di porre in enfasi il ritornello come culmine della canzone, come climax, che risulta invece al contrario alquanto calante o molto lento, spezzando il ritmo del brano. Chiaramente però non sempre è così, come dimostrano alcune tracce ben riuscite come “Samaritan” o la title-track, sicuramente tra gli highlight del disco.
Georgiou è poi certamente molto espressivo con la sua voce, però non ci convince ancora del tutto nelle parti più atmosferiche o più ricche di pathos, dove obiettivamente non regge il confronto con Roy Khan o con Tommy Karevik.
Al di là di queste osservazioni, come dicevamo, riteniamo che comunque i Sunburst siano ulteriormente cresciuti rispetto al disco d’esordio e con questo “Manifesto” riescono ad ottenere un buon compromesso tra potenza, tecnica e capacità di trasmettere emozioni: sotto questo profilo, specialmente Gus Drax riesce a toccare vette altissime con i suoi assoli, come nel caso della stessa title-track o di “Inimicus Intus”, giusto per fare qualche esempio.
In conclusione, diciamo che, in generale, “Manifesto” è senz’altro un bel disco, per quanto qualcosa non ci abbia del tutto convinti, però questa band greca ha certamente grandi qualità e siamo convinti che possieda tutte le potenzialità per diventare a breve uno dei principali punti di riferimento nel genere.