8.0
- Band: SVALBARD
- Durata: 00:34:00
- Disponibile dal: 24/09/2015
- Etichetta:
- Holy Roar Records
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L’amore per certe sonorità post hardcore e screamo va e viene ad ondate. Gli Svalbard, da Bristol, sono l’ennesimo gruppo a fare riferimento ad una scena oggi molto viva ed elettrizzata, anche per via dell’interesse che etichette “di nome” come Epitaph, Deathwish, Topshelf o Magic Bullet hanno negli ultimi anni mostrato nei suoi confronti. A differenza di certi colleghi al momento più conosciuti, il quartetto tuttavia espone un suono tanto più completo quanto più abrasivo, che a tratti richiama esplicitamente anche la moderna tendenza “post” black metal, ovvero una rilettura di suoni extreme metal tramite un sentimento malinconico e riverberi spaziali. Con già all’attivo alcuni EP, la band torna ora con “One Day All This Will End”, un album capace in appena otto canzoni di colpire per la sua vincente proposta, nella quale un raffinato gusto per la melodia più malinconica si abbina ad una sezione ritmica poderosa e scalciante e ad un comparto vocale tanto ruvido quanto maturo, sempre capace di dosare al meglio le proprie incursioni. Spetta soprattutto alla chitarrista/cantante Serena Cherry il compito di trascinare in questa sorta di odissea musicale il gruppo: è lei, con continue iniziative in fase solista e urla e voci spontanee e sentite, che ne decide le coordinate, che lo fa sprofondare in abissi di rumore e che infine lo fa fluttuare nell’etere più limpido. Tante realtà in questo genere tendono a seguire l’immaginario a cui fanno riferimento in maniera troppo calligrafica, finendo spesso per affidarsi ad un clichè dopo l’altro; gli Svalbard, al contrario, danno continuamente l’impressione di essere una formazione imprevedibile: per un momento semplici e poco impegnativi, attaccati fieramente a ritmiche hardcore e arie euforiche, ma poco dopo introspettivi, amari e dalla singolare vena progressive. Insomma, ricercati ma anche energici e mai pretenziosi. Gli Svalbard di “One Day All This Will End” sono il classico caso di chi non stravolge un genere, ma è abilissimo nel recuperare con personalità e intelligenza vari spunti e nel comporre in maniera ordinata, senza cascare in sterile citazionismo. Nel disco si sentono tanto le influenze di band di nicchia come Circle Takes The Square e Orchid, quanto strizzate d’occhio a gruppi più attuali, in voga ma comunque “adulti” come Defeater, Loma Prieta e Deafheaven; se aggiungiamo infine derive post rock che arrivano anche a ricordare gli Explosions In The Sky, ci ritroviamo con un ibrido straordinariamente coerente a livello emotivo, nel quale ogni cambio di tempo pare essere stato studiato al microscopio. Sulle prime la tracklist sembrerà mancare di un brano portante, dell’armonia di una composizione che al termine dell’ascolto rimanga a riecheggiare nella testa, ma presto ci si accorgerà che la suddetta composizione in realtà sono gli interi trentaquattro minuti di “One Day All This Will End”. Si arriverà al termine esausti, ma ne sarà valsa la pena.