7.0
- Band: SEVENTH GENOCIDE , SVNTH
- Durata: 01:00:32
- Disponibile dal: 28/08/2020
- Etichetta:
- Transcending Records
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Già fattisi segnalare nel circuito underground con i precedenti lavori sulla breve/lunga distanza, i Seventh Genocide (o SVNTH, come preferiscono essere chiamati oggi) giungono all’importante traguardo del terzo full-length con il chiaro intento di ampliare la portata e le ambizioni della loro musica. In effetti, basterebbe leggere i nomi coinvolti nella realizzazione di questo “Spring in Blue” per rendersi conto di come il quartetto capitolino non abbia badato a spese e di quanto creda nel materiale confezionato nell’ultimo periodo: Colin Marston (Agalloch, Altar of Plagues, Gorguts) in cabina di regia, Reuben Sawyer (Deafheaven) ad occuparsi della veste grafica e vari ospiti tra cui Josiah Babcock degli Uada e Marco Soellner dei Klimt 1918 ad arricchire con le loro comparsate la tracklist, per un disco di black metal atmosferico tipicamente anni Duemila che, senza magari eccellere dall’inizio alla fine, riesce comunque a regalare diversi momenti sopra la media.
Un suono notturno e metropolitano che sembra essersi nutrito delle suggestioni del luogo in cui è stato registrato (la Grande Mela), in cui arie febbrili, rarefazioni elettriche e quel senso di abbandono tipico di chi cerca risposte fra vicoli, palazzi e insegne al neon si intrecciano in un vero e proprio flusso di coscienza. Un susseguirsi di parentesi introspettive e squarci di euforia alimentato dalla tradizione ‘post’ più fragile dell’ultimo ventennio (Alcest, Amesoeurs, Lantlos, ecc.) e da rimandi ai Katatonia e agli Opeth di metà anni Novanta, all’interno del quale ogni brano – sei in totale, per oltre un’ora di musica – si sviluppa secondo gusti e traiettorie difficilmente prevedibili. Visti i presupposti, non stupisce che la scrittura dei ragazzi mostri il fianco a qualche momento un po’ troppo autocompiaciuto e prolisso, ciononostante è difficile sostenere che nel suo macrocosmo di influenze black, post-rock e shoegaze “Spring…” non sia un’opera complessivamente riuscita, o che quando indovini la linea melodica (“Parallel Layers”, “Wings of the Ark”) non risulti elettrizzante per un fan del genere e dei gruppi sopracitati.
Una volta tanto, quindi, il cambio di nominativo è il riflesso di una crescita effettiva: da Seventh Genocide a SVNTH, Rodolfo Ciuffo e compagni si lasciano alle spalle le ingenuità dell’adolescenza e cominciano a ragionare da musicisti adulti. Qualche limatura e il passaggio potrà dirsi compiuto.