7.5
- Band: SWALLOW THE SUN
- Durata: 00:52:31
- Disponibile dal: 25/01/2019
- Etichetta:
- Century Media Records
- Distributore: Sony
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Un album oscuro, malinconico, eppure vitale. Il nuovo capitolo della ormai quasi ventennale carriera degli Swallow The Sun prende le mosse dal lutto che nel 2016 ha colpito il loro leader Juha Raivio, il quale ha perso prematuramente la sua compagna Aleah Starbridge dopo una lunga malattia. Dopo avere concentrato le tonalità più inquietanti sul singolo di recente pubblicazione “Lumina Aurea”, il chitarrista finlandese decide ora di esorcizzare il proprio dolore con una raccolta di brani più limpidi e garbati, a cui risulta spesso difficile applicare l’etichetta ‘death-doom’. Il disco è di quelli che non prendono al primo ascolto: delicato, intimista, con arrangiamenti vellutati, in altri casi più ridondanti, ma sempre sul filo della malinconia, mai magniloquenti. Non siamo davanti a quegli estemporanei singoli dal taglio orecchiabile e un po’ ruffiano con cui la band si è talvolta fatta largo nelle classifiche finlandesi, ma al tempo stesso è lampante come l’album sia privo di parentesi realmente aggressive e trascinanti. Il growl viene utilizzato come contorno, le chitarre si inaspriscono di rado e, in generale, tutto ciò che rimanda al metal (più o meno estremo) sembra qui avere il mero intento di fare risaltare al meglio le partiture clean e ariose architettate dall’interplay fra i vocalizzi del frontman Mikko Kotamäki, gli arpeggi di Raivio, le tastiere e gli archi. Non cercate l’imperioso incedere degli Swallow The Sun death-doom: il carattere espressivo non è quello, ma le melodie e gli arrangiamenti sono stati curati a dovere e Raivio riesce a raccontarsi con garbo e sincerità, tessendo una serie di lunghe e soavi semi-ballate che solo a tratti scadono nel lezioso. Semmai, si resta un po’ perplessi davanti all’impiego, pur saltuario, di soluzioni metal in episodi dall’indole posata, i quali avrebbero funzionato tranquillamente anche senza tali intrusioni; lo screaming e il breve stacco nel mezzo di “Firelights”, ad esempio, risultano tutto sommato gratuiti, come se la band cercasse di tenere il piede in due scarpe per continuare a flirtare con la frangia più old school dei suoi fan. In ogni caso, si tratta di dettagli: a parte questi sporadici break, appare evidente come ogni particolare, ogni minima traccia sonora siano stati ben studiati e come la tracklist fluisca con coerenza, evitando strade impervie e ingenuità vistose. Come accennato, “When a Shadow Is Forced into the Light” non è un disco che resta impresso immediatamente: i suoi toni soffusi e uniformi probabilmente non funzioneranno benissimo nella dimensione live, ma, fra le mura di casa, questa ora di musica sarà in grado di creare una certa intimità con l’ascoltatore e di farsi scoprire pian piano con delicatezza, ben più di certi dischi di metà carriera. Brani come “The Crimson Crown”, “Upon The Water” e “Never Left” sono qui per restare.