7.5
- Band: SWORDS OF DIS
- Durata: 01:11:30
- Disponibile dal: 24/11/2023
- Etichetta:
- I Voidhanger Records
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Esistono dischi che pretendono un certo sforzo dall’ascoltatore, che ne saggiano la pazienza e la capacità di districarsi attraverso linguaggi diversi che si sovrappongono, e se siete tra quelli che dalla musica non contano di donare tale sopracitato sforzo, state alla larga dagli Swords Of Dis.
Il duo inglese, pur rimanendo all’interno di un genere che non va a cercare stupori o sorprese, riempie la propria musica di significati evocativi, di immagini esoteriche, eleganti riferimenti culturali e tanto, annichilente, suono. Già la confezione è notevole, con una copertina che va a rileggere la “Melencolia I” di Albrecht Dürer, omaggiandone le suggestioni con una rilettura coraggiosa ad opera di David Glomba che, leggiamo nelle note, si propone di immaginare gli eventi immediatamente seguenti a quanto ritratto nel nell’incisione, con la Melanconia che invoca la guida di Lucifero attraverso un rituale volto all’adorazione del calice del Fuoco Eterno. Con un biglietto da visita così, o si fanno le cose fatte bene, o si fa una ben magra figura, e per fortuna i due Swords Of Dis (Alice Corvinus, voce, Richard Corvinus, tutti gli strumenti) sanno il fatto loro in tal senso.
La costruzione dei brani ricade in un doom metal esoterico che non disdegna inflessioni black metal (tanto nell’esecuzione pregna di blast-beat e di screaming quanto nelle atmosfere ferine e inquietanti), reminiscenze occult rock a voce femminile e un sostrato doom settantiano. I brani sono lunghi e densi, passano da veloci scarrellate di heavy metal a marce marziali e oppressive, il tutto sorretto dalla voce eterea di Alice, che però non si limita a vocalizzi o abbellimenti ma, anzi, canta con un tono bello marcato, potente e perentorio.
A tratti, verrebbe da accomunarli a certe cose degli Schammasch o dei Septicflesh, per quanto a certe aperture impattanti e ieratiche, altre volte ai Devil’s Blood o i Coven, non tanto per l’ovvia associazione con la voce femminile ma soprattutto per il clima iniziatico che questa è capace di evocare. Non mancano momenti di morbosa melodia (“Sea Of Storms”, “Our Lady Of The Naked Flame”) e altri composti da pura immagine, quasi cinematografica; tendenzialmente i brani riescono a mantenere sullo stesso piano tutte le inflessioni che denotano le scelte artistiche della band (si prenda ad esempio la title-track, con le sue parvenze epiche e melodiche, le sue aperture violente, tutta fatta di continuo movimento).
Non è un disco facile, “Melencolia”: più di settanta minuti che vanno ascoltati rimanendo si attenti, ma lasciandosi cullare dal mare di tratti oscuri descritti dall’intreccio di voci melodiose e assieme bestiali, su di un letto sonoro asettico eppure ricco, possibilmente in un ambiente poco luminoso, dedicandosi a decifrare le liriche, perdendosi con la mente in umide campagne brumose dove si trovano tracce di roghi e falò.
L’ascolto completo richiede resistenza, e questo potrebbe giocare a sfavore dell’opera, in primissima battuta, ma un ascolto superficiale e un giudizio frettoloso sarebbero davvero impietosi nei confronti di un lavoro come questo: essenziale e ben confezionato, lo-fi eppure ricercato, che gronda un’ostentata malignità senza scadere nell’operetta. Vendete ordunque l’anima a Lucifero e riscattate il premio di cotal turpe mercimonio, vi troverete spaesati, non privi di spossatezza, ma vittime di uno straniante appagamento. I sabba servono a questo, no?