7.0
- Band: SYLOSIS
- Durata: 00:43:17
- Disponibile dal: 08/09/2023
- Etichetta:
- Nuclear Blast
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Con i Sylosis, lo ammettiamo, abbiamo un rapporto difficoltoso: la band del chitarrista/cantante Josh Middleton ha da tempo tutti i crismi per essere uno dei big della scena metal mondiale, eppure non riesce ancora una volta a portarci sul trono dell’esaltazione o, molto più terra terra, convincerci appieno. Una carriera costellata da alti e bassi e valutazioni agli antipodi non ha giovato alla formazione britannica, che però, forte della fiducia che concede lei il colosso Nuclear Blast, tira dritto per la propria strada, rimettendosi in carreggiata dopo la pausa dovuta al temporaneo passaggio di Middleton negli Architects (2016-2019) e l’ultimo lavoro targato pandemia e intitolato “Cycle Of Suffering”.
Formalmente il nuovo e sesto full-length “A Sign Of Things To Come” è un altro centro, certificato dall’ulteriore ribassamento e snellimento della durata del minutaggio, uno dei punti deboli – la prolissità – che spesso abbiamo rinfacciato al gruppo. Quarantatré minuti per dieci tracce sono il giusto bilanciamento per annullare quasi definitivamente la sensazione di pesantezza che ha attanagliato buona parte del lavoro dei Nostri in passato, e la loro miscela di thrash-death metal moderno, progressive, metalcore e influenze varie più o meno orecchiabili, derivativa quanto si voglia ma anche ormai riconoscibile per alcuni tratti assoldati del loro stile, fa la sua degna figura di fronte a qualsiasi tipo di confronto. Scritto ciò, tanto oltre non ci si può spingere: Machine Head, Slipknot, Killswitch Engage, gli scomparsi Chimaira, mettiamoci anche Lamb Of God, At The Gates, Hatebreed… Ecco, si può andare a pescare a destra e a manca tra i millemila riferimenti che emergono dall’ascolto di “A Sign Of Things To Come” ed il risultato finale è sempre lo stesso: musica di cui siamo inondati da decadi a questa parte, in definitiva esaltante solo per chi ne riesce a trarre ancora singulti emotivi o – beati voi! – pieni brividi adrenalinici.
Tali brividi, ad esempio, si possono provare senza dubbio alcuno all’altezza di praticamente tutti gli assoli di chitarra sciorinati sul disco, in questo i Sylosis sono sempre stati ottimi esecutori e anche il nuovo album non manca di mettere sul piatto notevolissimi momenti solistici. Così come succede lo stesso – il brivido d’emozione – quando il quartetto si pone più melanconico, dolciastro, pacato, meno tecnicamente propenso, e quando carica di arrangiamenti di tastiere i suoi brani: ne sono esempio lampante la semiballata di turno, la più che buona “Absent”, e gli ultimi tre favolosi brani della tracklist, “Judas”, “Thorns” e “A Godless Throne”, carichi di quel pathos e di quel sentimento che invece latitano a monte della scaletta. L’impatto delle tastiere in tale terzetto conclusivo è corroborante, gli arrangiamenti sono azzeccatissimi, la composizione fila via fluida e tocca più nel profondo come avrebbero dovuto (e potuto) fare anche gli episodi precedenti.
Dei tre singoli usciti fin qui – “Deadwood”, “Poison For The Lost” e la più cupa title-track, praticamente senza sbavature – non ci stupisce nulla; la aggressiva “Pariahs”, di contro, regge con il suo appeal più quadrato e solido tutta la prima parte del disco. Ed è, come precisato, la fine del lavoro a farci drizzare bene le orecchie e a plasmarci in mente la tanto agognata frase: ‘finalmente un brivido!’.
Sette pieno sicuro e anche qualcosina in più, dunque, poco altro da dire per un gruppo che ha certamente raccolto meno di quanto avrebbe meritato, ma che ha sempre anche navigato in acque perennemente affollate di altre valide e simili realtà.