8.0
- Band: SYSTEM OF A DOWN
- Durata: 00:39:48
- Disponibile dal: 22/11/2005
- Etichetta:
- Columbia
- Distributore: Sony
Spotify:
Apple Music:
Mantenuta la promessa, i System Of A Down ritornano, con una mossa sempre più frequente che spesso si può più legare alle volontà commercial-discografiche piuttosto che ad una effettiva iper-fertilità in studio. Molti segnali indicano una cattiva direzione per il combo di origine armena: due album di fila (vi dice niente “Use Your Illusion”, ovvero “registriamo tutto che non vi voglio più vedere?”), una serie infinita di progetti paralleli annunciati, una presenza scenica sempre più deludente e le due grandi menti Tankian e Malakian che non incrociano lo sguardo nemmeno per sbaglio… Ma, una volta ascoltato “Hypnotize”, chi scrive non sarebbe mai così felice di sbagliare la sua previsione. Se “Mezmerize” era in un certo senso una regressione nei confronti dell’inarrivabile “Toxicity”, restando un ottimo album, il seguito vi si avvicina presentando una maggiore tecnica strumentale (riff intricatissimi e originali, comparabili solamente al debutto), una ampissima varietà umorale e anche una bella variegatura sul cronometro. Innegabile la natura in gran parte “vocale” dell’album in questione. Non essendo più una novità che il principale compositore Daaron Malakian si sia preso almeno la metà degli spazi cantati, i SOAD sono oggi un gruppo con due singer, a dire il vero mai così armoniosamente affiatati e concordi, e, se la prepotenza del chitarrista a volte rischia di stufare, il grandissimo Serj attira verso di sé l’attenzione con naturalezza innata, creando la più impressionante performance vocale mai sentita all’interno della discografia del gruppo. Ascoltare “Hypnotyze” è glorificare il genio dei System, espresso nelle pazzie vocali simili agli scioglilingua di “Vicinity of Obscenity”, (una delle canzoni più strambe e divertenti dell’anno) come nell’epica grandezza della solenne “Holy Mountain”, o nella intensa e politicizzata “Attack” (non si rinuncia ovviamente alla denuncia sociale, ma con la messa in luce di Malakian non si rischia nemmeno di politicizzare troppo la proposta, errore in passato fatale per i Rage Against The Machine) o infine della corale “Dreaming”, veloce e letale. La peggiore band pseudo-metal dai tempi dei Korn (eresia per alcuni ipotizzarli headliner al Gods Of Metal!) o nuova dissetante linfa per il rock pesante? Dipende solo dai punti di vista. Chiude la toccante “Soldier Side”, in versione estesa, collegando le due opere con un filo musicale mentre la confezione in digipack si unisce magistralmente con il precedente disco, trovata davvero interessante e originale, come del resto la musica ivi contenuta. Vogliamo negar loro un otto?