8.0
- Band: TAAKE
- Durata: 00:53:05
- Disponibile dal: 24/11/2017
- Etichetta:
- Dark Essence Records
- Distributore: Audioglobe
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C’è uno strano rapporto di appartenenza da parte di “Kong Vinter” nei confronti del suo creatore, dei luoghi in cui è stato concepito, della gelida aria norvegese che nell’inverno lambisce la carne e penetra fino alle ossa. C’è un fortissimo legame tra il settimo album rilasciato da Hoest e l’atmosfera asfittica e cavernosa che pervade il cielo delle sue terre, fino a coprirne ogni angolo nel lungo buio della notte perenne. E’ impossibile non percepirlo, è impossibile non scorgere le solide corde che legano il demiurgo alla sua creatura, fino ad incarnarne la migliore trasposizione possibile in musica, quindi in arte, e dar vita ad una narrazione tempestosa e ricca di phatos epico, quasi classico. Proprio come il freddo della Norvegia, anche lo scorrere di “Kong Vinter” è ambiguo ed ambivalente, ora feroce e sprezzante, ora pericolosamente sinuoso nel trasportare nelle sue spire dalla stretta mortale con lunghi movimenti circolari mai del tutto uguali. Più che delle canzoni, siamo di fronte a dei veri e propri scenari musicali dove il regista dipana la sua storia secondo ritmi e dinamiche proprie, sempre conscio però del rigore solenne della fiera tradizione nordica che sembra riecheggiare nell’ululato solitario del lupo di Bergen. Abbracciando ancora una volta qualsiasi aspetto creativo legato al nuovo album, da quello compositivo a tutta la sezione strumentale ed esecutiva, Hoest si immola completamente nel suo prodotto, realizza una catarsi che sa esprimere la sua indole personale senza paure, attaccata indissolubilmente al suo passato artistico ma istintivamente curiosa di sperimentarlo secondo forme e strutture nuove, affamata di nuove esperienze razionalizzate secondo la lente della tradizione e della memoria. Non sono molti gli interventi di voce nelle prime canzoni, squarci nel buio che solo con parsimonia emergono lungo il corso della tracklist, quasi a lasciare fluire in tutta la loro maestosità incastri di chitarra e basso fantasiosi e complessi, tanto nelle avvolgenti melodie finemente armonizzate (“Sverdets Vei” ed il finale di “Inntrenger” parlano da soli) quanto nei momenti più agitati della doppietta “Huset I Havet”/”Havet I Huset”, mirabili nell’unire con assoluta naturalezza le multiple personalità del frontman norvegese in un’unica opera tanto articolata ed ambiziosa quanto chiaramente comprensibile. La seconda parte di “Kong Vinter” ripercorre più fedelmente i canoni ormai iconici del puro spirito black metal dei primordi, sempre mostrando però un inquietudine creativa che arricchisce non poco il valore finale del lavoro, e garantisce una longevità che conquista gradualmente. Ultimo in una serie di uscite ottime per i Taake, “Kong Vinter” alza forse ulteriormente il tiro, lasciando da parte gli elementi più folcloristici del recente passato e concentrando le sue attenzioni sulle radici musicali del black scandinavo, attualizzato con sapienza ed ispirazione.