7.5
- Band: TANKARD
- Durata: 00:48:21
- Disponibile dal: 02/06/2017
- Etichetta:
- Nuclear Blast
- Distributore: Warner Bros
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Si fanno beffe di quella scheletrica mano che ti prende e ti porta via, una volta per tutte e senza possibilità d’appello. I Tankard scelgono un titolo a suo modo umoristico, corredato da una divertentissima copertina, per il disco numero diciassette della loro storia, entrata nel trentacinquesimo anno di vita. Come avrete avuto modo di leggere nel nostro track-by-track di qualche settimana fa, i quattro di Francoforte sono tutt’altro che bolliti. Se pensiamo che tutto sommato il loro ‘prodotto’ è stato spesso etichettato come una commodity del thrash e non come una ghiottoneria gourmet, i non più giovani mattacchioni teutonici possono andare vieppiù orgogliosi di quanto presente in “One Foot In The Grave”. Dietro l’aura di cazzoni di prima categoria, va detto, i Tankard non hanno mai fatto mancare professionalità e attenzione ai dettagli, che gli hanno permesso di confezionare dischi molto curati sotto l’aspetto contenutistico, di produzione e grafico. In anni recenti, i Nostri si sono giovati di una rifinitura e rotondità del suono che, almeno in parte, li ha staccati dall’identità di thrasher ignoranti e senza pretese. Discorso che vale a maggior ragione per quest’ultimo studio album, baciato da una resa dei singoli strumenti ottimale, che pone in risalto il buon livello tecnico raggiunto da tutti i musicisti e la capacità di mettere a fattor comune le conoscenze maturate, così che l’impatto rimane debordante dalla prima all’ultima nota e apprezziamo pure spaccati di inaspettata musicalità. In aggiunta, abbiamo un Gerre in grande spolvero, versatile per quanto la ruvida ugola glielo consenta, veemente come un ragazzino alla sua prima registrazione ufficiale. Le quadrate marce thrash ‘alla Tankard’ non sono andate in soffitta, e ne abbiamo degli ottimi esempi: l’opener “Pay To Pray” e “Don’t Bullshit Us!” macinano note e spezzano colli, frullando riff e cambi di tempo ben congegnati e nei quali albergano un pizzico di fantasia e melodie classic metal capaci, da sole, di dare ariosità all’insieme. Va ancora meglio quando i toni, da allegri e/o casinari, diventano seri e barlumi di cupezza prendono il sopravvento; in questo senso, “Syrian Nightmare” rappresenta una piccola, riuscita, variazione sul tema, in assonanza al drammatico soggetto di cui si disserta nelle liriche. La titletrack e “Arena Of The True Lies” contaminano di power metal il ricettacolo di violenza, ne escono due canzoni catchy, furibonde, estremamente dinamiche, che non scadono nella banalità e reggono il peso degli ascolti ripetuti. C’è infine da segnalare una rinnovata passione per l’epicità di grana grossa, che si esplica in due episodi particolari. Se “Northern Crown (Lament Of The Undead King)” apre un’ampia via di comunicazione con Running Wild e Grave Digger, il pezzo di maggior valore dell’intero disco è “Secret Order 1516”. Oltre sette minuti di durata, gestiti benissimo, fra cori altisonanti, accelerazioni vibranti, colpi impazziti della batteria e un testo che celebra un momento di storia assai caro a sbevazzatori professionisti come i Tankard: il Reinheitsgebot del 1516, ovvero il decreto promulgato in Baviera nel 1516 con cui si regolamentava produzione e vendita della birra. Il clima teso e pomposo che si viene a creare nel brano è ben comprensibile alla luce della passione per il luppolo del quartetto! “One Foot In The Grave” è un album che potrebbe andare a genio anche agli inguaribili detrattori della band, chi li ha sempre accusati di immobilismo e semplicismo, troverà qualche buon motivo per ricredersi nel corso della tracklist. I fan storici, sorridano pure compiaciuti: i Tankard rimangono fra i migliori baluardi della vecchia scuola thrash!