7.5
- Band: TANKARD
- Durata: 00:55:09
- Disponibile dal: 30/09/2022
- Etichetta:
- Reaper Entertainment
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All’inizio del 1900 il medico russo Ivan Pavlov balzò agli onori della cronaca scientifica grazie ad una serie di esperimenti che lo portarono ad elaborare il concetto di ‘riflesso incondizionato’. La ripetizione di uno stimolo creava nei cani (oggetto del test) una reazione involontaria di risposta: suono di campanello, presentazione del cibo e tac, la salivazione canina partiva di conseguenza. Il risultato di questo susseguirsi d’azioni, più volte ripetuto, fu che al minimo tintinnio del campanello, la reazione dell’animale scattava, appunto, di riflesso, incondizionato. Una scoperta tranquillamente traslabile in ambito metal: si parla di thrash, si parla di birra e l’immagine dei Tankard si presenta inevitabilmente dinnanzi agli occhi. Una reazione senza riserve che oggi raggiunge quota quarant’anni: era, infatti, il 1982 quando un gruppo di amici di Francoforte, capitanati da Frank Thorwarth e Andreas ‘Gerre’ Geremia, diede vita ad una creatura dedita ad un thrash metal grezzo e diretto le cui liriche, oltre ad affrontare tematiche socio-politiche, si prendevano ‘a cuore’ il concetto di birra, nel suo aspetto più goliardico e godereccio, tanto da coniare, nel giro di due album, un nuovo genere: l’alcoholic metal.
Pavlov come i Tankard dunque, e questa relazione trova il suo spazio artistico nella copertina del qui presente “Pavlov’s Dawgs”, diciannovesima fatica della band tedesca, a celebrazione dell’importante traguardo di carriera raggiunto. Un disco roccioso e ben assestato tra ritmi monolitici, riff spediti e passaggi più melodiosi: 100% Tankard insomma, non aggiungendo note sorprendenti a quanto prodotto nell’ultimo periodo (vedasi il precente “One Foot In The Grave”), testimoniando tuttavia, come se ce ne fosse bisogno, l’intento passionale di Gerre e compagni nei confronti della musica pesante. Ed è proprio questo aspetto che traspare sovrano lungo tutti i cinquantacinque minuti previsti: un disco manifesto, a simbolo di una band messa spesso in secondo piano proprio per quel suo modo di porsi, godereccio e festaiolo, ingannevolmente non così impegnato.
“Pavlov’s Dawgs” non contiene concept particolari o chissà quali altri messaggi da lanciare: i Tankard sanno comunque spaziare tra vari argomenti, proseguendo imperterriti lungo quella linea iniziata appunto quattro decenni fa. Impossibile rimanere fermi mentre la terremotante titletrack prende velocemente corpo (e vi porterà ad ascoltarla in loop), con Andy Gutjahr sempre protagonista nel tessere riff e assoli, sostenuto dal tipico incedere coordinato dalla coppia Thorwarth-Olaf Zissel. Valangata sonora onnipresente anche nella successiva “Ex-fluencer”, brano che conferma come l’etichetta di ‘semplici birraioli’, stampigliatasi negli anni sul combo di Francoforte, non sia del tutto esauriente, puntando infatti il dito contro il potere distruttivo dei social; chiariamoci, il tradizionale omaggio luppoliano è comunque dietro l’angolo (“Beerbarians”), e guai a scordarselo. Tra gli episodi meritevoli citiamo inoltre “Diary Of Nihilist”, “Lockdown Forever” e “On The Day I Die”; di contro, spicca in senso negativo “Veins In Terra” la quale, proprio per una sua certa monotonia in sede di refrain, sembra uscita da una delle ultime produzioni rilasciate da un altro gruppo tedesco, ubicato ad Essen. Poco male: Gerre e compagni ci regalano una nuova dose – l’ennesima – di linfa metallica, pronta per essere spillata, sapendo già che in versione live (come dimostrato nell’ultima calata italica lo scorso maggio in quel di Parma) il tutto prenderà una piega ancor più allegra e vigorosa. “Pavlov’s Dawgs”: un titolo perfetto, a sigillo di una carriera dove le parole fedeltà, passione e coerenza vanno a riempire quel fusto di birra ben sigillato dalla scritta Tankard.