7.0
- Band: TAROT (AUS)
- Durata: 00:41:50
- Disponibile dal: 12/04/2024
- Etichetta:
- Cruz Del Sur Music
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I Tarot – da non confondersi con l’omonimo progetto di Marco Hietala – sono una formazione australiana nata nel 2011 con l’intento di rendere omaggio alla migliore tradizione dell’hard rock degli anni Settanta.
Dopo alcuni anni di gavetta che hanno portato i Nostri alla pubblicazione di alcuni EP, il vero e proprio esordio arriva nel 2016, con un album intitolato “Reflections”. Da allora se ne erano un po’ perse le tracce, ma li ritroviamo oggi sotto l’egida della Cruz Del Sur Music, con un secondo album che ci restituisce una band per nulla arrugginita, capace di confezionare un disco impregnato di quel profumo vintage che gli amanti di formazioni come Rainbow e Uriah Heep troveranno molto interessante.
E’ sufficiente ascoltare i primi due brani dell’album per iniziare a definire le coordinate sonore entro cui si muovono i Tarot: la title-track, ad esempio, trova il suo punto di forza nelle tastiere, che si dividono equamente tra organo hammond e pianoforte, lasciando alle chitarre un ruolo più di supporto. “The Winding Road”, invece, compie il percorso opposto, con delle chitarre proto-metal che ci hanno ricordato alcuni passaggi cari ai Thin Lizzy (e di conseguenza agli Iron Maiden, che ne hanno mutuato molte delle caratteristiche).
Esattamente come succedeva per molte delle migliori formazioni degli anni Settanta, anche i Tarot non disdegnano concedersi qualche incursione ai confini del folk rock, dando ampio spazio anche alle chitarre acustiche: abbiamo così un brano come “Leshy’s Warning”, che ci ha ricordato i Jethro Tull più bucolici, oppure “Dreamer In The Dark”, che resta comunque un brano energico ed inequivocabilmente rock, pur con le atmosfere calde e avvolgente dell’acustica. Parlando di chitarre, infine, appare molto evidente come lo stile di Ritchie Blackmore sia senza alcun dubbio un punto di riferimento per i due chitarristi, che si trovano spesso a creare fraseggi molto simili a quelli che hanno reso immortale il menestrello britannico, un fatto che appare particolarmente evidente in “Echoes Through Time”. Meno efficace, invece, la prova vocale di Will Spectre, che disegna linee vocale efficaci ma senza quel carisma e quella personalità che distingue un fuoriclasse da un discreto mestierante.
Quella dei Tarot, insomma, non è certo una proposta innovativa, né nelle sue radici più antiche, che appunto sono facilmente rintracciabili nei nomi citati, né nel suo lavoro di recupero del passato, che è già stato ampiamente messo in atto da tante formazioni (pensiamo ad esempio ad Horisont, Hällas, Wytch Hazel, Graveyard, Tanith e tanti altri). Tuttavia la qualità della loro proposta e l’innegabile gusto per gli arrangiamenti, rendono “Glimpse Of The Dawn” un album molto piacevole, ben suonato e credibile nella suo essere orgogliosamente retrò.