TASSI – Idamon Novasah-Liva

Pubblicato il 03/06/2025 da
voto
7.5
  • Band: TASSI
  • Durata: 00:45:20
  • Disponibile dal: 31/05/2025
  • Etichetta:
  • Dusktone

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Quale antenato parla in me? Io non posso vivere contemporaneamente nella mia testa e nel mio corpo. Per questo non riesco ad essere una sola persona. Sono capace di sentirmi un’infinità di cose contemporaneamente. Il male vero del nostro tempo è che non ci sono più i grandi maestri. La strada del nostro cuore è coperta d’ombra. Bisogna ascoltare le voci che sembrano inutili”.
Nulla è più inaspettato del trovare il monologo in italiano di Domenico, ‘il matto’ del film “Nostalghia” di Andrej Tarkovskij, ambientato in Italia, all’interno di un album di un musicista cinese. Stiamo parlando di Dryad, polistrumentista di Pechino già noto per il suo lavoro con i Bliss-Illusion, che ritorna con la sesta opera del suo progetto Tassi; purtroppo non suona benissimo in italiano, ma tale è il nome del personaggio protagonista della saga da lui stesso creata: un bardo che intraprende un viaggio iniziatico, attraverso il mondo degli uomini e quello ultraterreno, alla ricerca della sua amata, Uni, l’incarnazione della sua fede incrollabile.
Tassi percorre il tempo e lo spazio attraverso altre dimensioni, in un viaggio divino, surreale, folle e disperato; Uni ha trasceso la sua natura umana diventando un simbolo di amore assoluto e spiritualità: questa odissea metafisica, che ricorda  il viaggio di Dante attraverso Inferno, Purgatorio e Paradiso, si sviluppa come una ricerca intima, dove la musica diventa il linguaggio dell’anima.
Si tratta di una storia parallela rispetto all’altra saga creata da Dryad e denominata “Northland”, un ramo gemello che approfondisce il lato più emotivo, introspettivo e malinconico di Tassi, una sorta di suo doppio interiore – o un sé alternativo.
Al centro della storia, il bisogno di un ritorno ai valori naturali, dove il significato del commovente monologo di Domenico va a coincidere con l’antica sapienza cinese del Tao. È un forte invito a risvegliare le potenzialità assopite dell’anima, ritornando all’innocenza smarrita. L’umanità è in pericolo: perdendo i suoi grandi maestri, è sprofondata nell’ansia, nell’angoscia, nel male di vivere; l’unica alternativa all’abisso, al degrado contemporaneo, è ritrovare la strada perduta, il ritorno ai principi fondanti dell’esistenza, al punto in cui abbiamo imboccato la via errata.
Per fare ciò basterebbe osservare la natura, accorgendosi così che la vita è semplice; e dare quindi importanza alle piccole cose, ascoltare gli altri, provare empatia, cercare unità e condivisione, superando divisioni e pregiudizi; solo così sarà possibile vedere le differenze come un valore, solo così è possibile tornare a sognare.
Musicalmente “Idamon Novasah-Liva” si colloca pienamente all’interno del blackgaze, sottogenere del black metal sorto negli ultimi decenni a partire dai primi lavori di Alcest e Deafheaven, incorporando gli stilemi del black metal e del post-black all’interno dell’estetica malinconica dello shoegaze: un incontro tra blast-beat, urla acute e chitarre elettriche melodiche, distorte e riverberate. Nelle parti più vicine al post-rock Tassi ricorda anche i Sigur Rós, mentre l’uso degli strumenti e la natura stessa di one-man band non possono che rimandare al Neige dei primi Alcest. La voce, al di là delle urla ferine, si muove tra preghiera e lamento, riecheggiando tra paesaggi sonori ora eterei, ora oscuri e catartici; i passaggi più deprimenti sono contigui al depressive black metal e al funeral doom degli svedesi Lifelover o del belga Déhà. La componente atmosferica può ricordare qualcosa degli Agalloch, ma in generale la mente va a uno dei capostipiti delle contaminazioni folk in ambito black metal, “Bergtatt – Et Eeventyr I 5 Capitler” degli Ulver.
Molto bella l’illustrazione di copertina di Alcide Nathanaël, artista dall’immaginario spirituale ed esoterico, che cura le edizioni occidentali delle opere di Tassi.
L’opera si svolge su sette capitoli: si parte dai toni pacati e onirici dei primi due – atmosferico il primo, su cui emergono i riferimenti ai Sigur Rós, e semiacustico il secondo, su cui si adagia il recitato di Domenico – per poi passare a episodi sempre più aspri ed elettrici, che culminano con i passaggi parossistici del quinto capitolo; il lavoro si chiude poi con due gioiellini shoegaze black metal dalle forti tinte new wave, “怪想录 VI: 悲落之鸟” e “怪想录 VII”, veramente profondi ed emozionanti, ma tutte le tracce sono riuscite e hanno il loro ruolo e significato nell’economia del concept.
La resa sonora, particolarmente importante in opere di questo tipo, è buona, più efficace nelle parti acustiche e atmosferiche che nei passaggi più elettrici,  sì interessanti e coinvolgenti, ma sofferenti di un suono meno curato, risultando talvolta un po’ troppo semplici e derivativi, laddove ci si aspetterebbe, considerata anche la provenienza geografica, qualcosa di più caratteristico e personale.
Dryad però è bravissimo a trattare tutti gli strumenti con competenza e a toccare le corde dell’emozione, cesellando un album che va sicuramente ascoltato con attenzione, come merita tenere sottocchio gli sviluppi di questo affascinante progetto.

TRACKLIST

  1. 怪想录 
  2. 怪想录 II
  3. 怪想录 III
  4. 怪想录 IV
  5. 怪想录 V
  6. 怪想录 VI: 悲落之鸟
  7. 怪想录 VII
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