6.0
- Band: TEMPLE OF DREAD
- Durata: 00:45:40
- Disponibile dal: 11/08/2023
- Etichetta:
- Testimony Records
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È un peccato che l’elemento migliore di “Beyond Acheron”, quarto album dei Temple Of Dread, sia la sua stupenda copertina, a opera del ‘nostro’ Paolo Girardi. Con questo non vogliamo dire che il contenuto della nuova prova del gruppo tedesco sia pessimo, ma di certo ci viene difficile parlarne come di un’opera imprescindibile, almeno per coloro che hanno un quadro completo del panorama death metal contemporaneo.
Al quarto album in altrettanti anni, il trio teutonico cerca timidamente di allargare il range di opportunità sonore e stilistiche, insistendo quindi su alcune delle coordinate espresse sul precedente “Hades Unleashed”, capitolo che aveva visto la band levigare il lavoro di chitarra e aprirsi a una melodia più sinuosa. La storia si ripete in alcuni episodi di “Beyond Acheron”, con vari spunti classici che intervengono per decorare quella tipica consistenza old school death metal con cui in passato i ragazzi hanno innescato paragoni con Asphyx o primi Pestilence.
I Temple Of Dread cercano insomma di caratterizzare ulteriormente i loro brani, rivolgendosi alla melodia e, in certi casi, a un vago afflato epico che allunga la composizione e che talvolta favorisce l’inserimento di synth e tastiere. Se su “Hades Unleashed” la band aveva tuttavia dimostrato di riuscire a mantenere una discreta armonia fra l’anima aggressiva e quella più ariosa, la nuova fatica in studio fa emergere qua e là qualche contrasto gestito un po’ troppo bruscamente e un certo squilibrio di fondo, il quale porta in alcune circostanze a dei risultati vagamente kitsch.
Volendo chiamare in causa un altro nome spesso accostato ai Nostri, ogni tanto si ha l’impressione di trovarsi al cospetto di quei God Dethroned particolarmente tamarri, quelli sin troppo improntati su un revival classic metal dai toni esuberanti, con aperture luminose che non si amalgamano benissimo con il materiale più arcigno. La ‘svolazzante’ parte centrale di un pezzo come “Damnation” è un buon esempio di questo scompenso, tanto più che in quest’occasione anche la resa sonora convince poco, essendo caratterizzata da una produzione sì pulita, ma alla lunga impersonale e priva di carattere. In passato la band aveva più riff e spingeva con maggior spontaneità, quindi aspetti come il suono generale venivano messi in secondo piano; ora che la proposta si è invece spostata su lidi più melodici, ai tedeschi sembrano mancare sia una verve più genuina e viscerale, sia la classe per studiare arrangiamenti e sviluppi realmente personali. In sostanza, spesso ci si ritrova a fare i conti con un death-thrash spuntato: poco incisivo nei suoi momenti diretti e al contempo mai davvero ricercato altrove. Una prova interlocutoria.