6.5
- Band: TEN
- Durata: 00:59:59
- Disponibile dal: 07/07/2017
- Etichetta:
- Frontiers
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Ad un paio anni di distanza dalla pubblicazione del piratesco “Isla De Muerta”, i Ten cambiano improvvisamente rotta avventurandosi senza timore alcuno in un rischioso concept dal marcato sapore fiabesco, altresì delineato da un immaginario che sovente richiama determinati aspetti dell’acclamata serie TV “Once Upon A Time”. Da qualche tempo a questa parte sembra proprio che il carismatico frontman Gary Hughes non riesca a contenere il proprio inarrestabile flusso di idee, processo purificatorio che gli ha permesso di realizzare ben sei dischi di discreta qualità in poco più di un lustro. Sin dalla meravigliosa immagine di copertina, “Gothica” si presenta come un’opera oscura e magniloquente, ispirata senza soluzione di continuità alla mitologia medioevale ed alla romantica saggistica horror. Con queste ghiotte premesse ci saremmo aspettati di udire un disco privo di particolari sbavature ma, invece, nostro malgrado rimaniamo intrappolati in un fitto labirinto musicale denso di ostacoli, discontinuamente caratterizzato da un accecante fascio di luci ed ombre. I tratti somatici del sontuoso pomp rock architettato dal collettivo britannico vengono appiattiti da una produzione fredda e asettica, opinabile scelta stilistica che non ha di certo aiutato ad esaltare il potenziale delineato da un ventaglio di idee non sempre ben realizzate. L’utilizzo smodato di una glaciale drum machine ha contribuito non di poco a radere al suolo le dinamiche multisfaccettate delle composizioni più audaci, peraltro in larga parte godibilissime, ridimensionando non di poco il nostro giudizio espresso in calce. Difatti non rimaniamo stupiti dal fatto che i brani migliori siano quelli caratterizzati da una distinta eleganza esecutiva, come nel caso delle emozionanti ballate “Paragon” e “Into Darkness”, entrambe interpretate in maniera divina dall’autorevole Hughes. L’intricato costrutto strumentale di “The Grail”, “In My Dreams” e “The Wild King Of Winter” rimanda gioco forza al verbo coniato dai Magnum più epici e regali di “On a Storyteller’s Night”; mentre la vibrante “Jekyll And Hyde” palesa un violento riffing portante edulcorato da un’interpretazione vocale beffarda e sorniona. Il meccanismo si inceppa bruscamente quando i protagonisti si prodigano nel plasmare chorus oltremodo goffi (“La Luna Dra-cu-la”) e linee melodiche ridondanti (“Travellers”). Salvo improvvisi colpi di coda è oramai assodato che i vertici del quadrilatero magico composto da “The Name Of The Rose”, “The Robe”, “Spellbound” e “Babylon” siano oramai irraggiungibili per gli autori stessi ma, se vi ‘accontentate’ di un’opera a tratti interessante, potrete scovare ancora alcuni sprazzi di genialità di una band che avrebbe potuto e dovuto fare molto di più.