8.0
- Band: TERMINALIST
- Durata: 00:39:53
- Disponibile dal: 08/09/2023
- Etichetta:
- Indisciplinarian
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L’ossessione per la velocità; l’amore per le argomentazioni riferite al cosmo; l’ipertecnicismo e la maniacalità nel rifinire il suono; e il thrash, frequentato nelle sue derive più frenetiche, deraglianti e magniloquenti dal punto di vista melodico. Sono questi gli ingredienti che, frullati assieme, dosati, fatti ‘cuocere’ attentamente in sala prove e studio di registrazione, definiscono il suono dei danesi Terminalist. “The Crisis As Condition” ne rappresenta il secondo album e, se già il primo “The Great Acceleration” aveva destato in noi buone impressioni, questo secondo full-length alza esponenzialmente l’asticella.
In due anni, i quattro di Copenaghen non hanno apportato alcuno stravolgimento ad una ricetta poco ortodossa, almeno di questi tempi: uno sferzante thrash imbastardito da striature death metal, come poteva andare di moda sul finire degli anni ’90 in Nord Europa, reso incendiario, coloratissimo e stordente da un gusto per il fraseggio estroso e squillante preso in prestito dai Vektor e dai Voivod. Con “The Great Acceleration” la band andava a proporre un impasto sonoro dirompente, altamente facinoroso dal primo all’ultimo minuto, zeppo di prove strumentali altisonanti, compatto e senza alcun attimo di pausa o inutile lungaggine. Ad ammorbidire in parte gli entusiasmi, c’era un songwriting curato ma un pizzico monocorde, che faceva assimilare il disco come un blocco unico, all’interno del quale si faticava a discernere perfettamente i contorni e il carattere delle singole tracce.
Il principale difetto dell’opera prima cade ora platealmente, perché quella sensazione di eccessiva monoliticità del predecessore va a liquefarsi in “The Crisis As Condition”, preda di una formazione che pare aver ripassato con ancor maggiore concentrazione i suoi punti di forza e abbia fatto di tutto per elidere i momenti di relativa debolezza. Un brano come “Last Remains” gronda classe, scarica addosso esemplari concentrazioni di barbarie, fa erompere alla massima potenza la spinta death metal della formazione, ma concede spazio abbastanza in fretta a elaborati ricami melodici, ritmiche tambureggianti, mettendo in luce pure la propensione a creare veri e proprie anthem.
I Terminalist, a livello chitarristico, si permettono ogni sorta di scorribanda, inanellando giostre di riff e assoli con spiccata naturalezza, concatenando fasi più orecchiabili e distese ad altre che sono, semplicemente, dei cataclismi di note. Lo fanno senza ‘gigioneggiare’, non divagano, invitano ad entrare nell’occhio del ciclone e godere assieme a loro della straordinaria spinta propulsiva di cui sono artefici. A una messa in moto subito adrenalinica segue uno sviluppo sempre più incalzante, la musica si fa scenografica, enfatica, man mano che si procede nell’ascolto.
I Terminalist uniscono idealmente il progressive thrash ottantiano, le cascate di violenza del death-thrash svedese di fine anni ’90 e le rivisitazioni attuali di queste sonorità, rilette attraverso un’esasperazione dei ritmi e della concitazione. A rendere il suono confortevole ed appagante anche al di fuori degli appassionati del death-thrash più tecnico, ci pensa una specie di epica fantascientifica, cavalcata con insistenza e bramosia un po’ per tutto l’arco del disco. Diventa particolarmente gloriosa e funambolica nella conclusiva “Move In Strife”, che con la sua durata oltre i dieci minuti può far distendere a piacimento le cristalline melodie disegnate dalle chitarre e consente quindi di alzare ulteriormente il livello di pathos.
Nonostante la complessità di strutture ed arrangiamenti, la formula dei danesi si fa portavoce di voglie distruttive contagiose, “The Crisis As Condition” è in fondo un album di relativa accessibilità e che provoca genuino godimento sia a un ascolto ‘di pancia’, sia a un apprezzamento che vada in profondità rispetto ai suoi dettagliati attributi arsitici. Per chi ama velocità, violenza e tecnica smodata, un album impossibile da trascurare.