7.0
- Band: TESSERACT
- Durata: 00:50:41
- Disponibile dal: 27/05/2013
- Etichetta:
- Century Media Records
- Distributore: EMI
Spotify:
Apple Music:
I Tesseract proseguono il loro cammino all’insegna del progressive licenziando il successore dell’osannato e fortunato “One”, album che ha permesso a questi giovani di farsi un nome di un certo peso. “Altered State”, lo diciamo fin da subito, è un’opera che si caratterizza in maniera alquanto similare al suo predecessore, seppur con qualche novità più o meno significativa: il team di lavoro rimane invariato, salvo un prolungato tira-e-molla di cantanti vinto, infine, dal pacato Ashe O’ Hara, meno dinamico e versatile del vecchio frontman ma dotato di un timbro malinconico ricercatissimo, oltre che di un’estensione indubbiamente più amplia. Un’altra variante risulta essere quella apportata da uno sviluppo tecnico se possibile ancora più ricercato, complice una tracklist giocata esclusivamente su midtempo dilatati e basi ultraterrene al completo servizio delle perizie dei Nostri. Svanito l’effetto sorpresa, l’arduo compito di mantenere su standard elevati una proposta non certo di facile gestione sembra un obiettivo centrato, tuttavia un’immediatezza non scontata ma nemmeno troppo sudata sembra collidere e prendere il sopravvento sopra gli sconcertanti pandemoni sonori dell’esordio: l’approccio risulta da subito più raffinato e a risentirne sono gli stessi controtempo disparati che abbondavano in passato, ora più deboli e non proprio esaltanti. Dei Tesseract attuali piace però il coraggio di andare oltre a qualsiasi standardizzazione, oltre le solite influenze sempre dietro l’angolo ma mai eccessivamente palesate. A questi cinque inglesi piace fare quello che viene ritenuto più opportuno per la propria musica, piace la cura dei dettagli e l’inserimento di piccoli elementi che mettono in condizione qualsiasi brano di esprimere tutto il suo potenziale. Una caratteristica andata sciamando, complice anche la scarsa adattabilità del nuovo acquisto – lo scream è oramai un lontano ricordo – e l’eccessiva prolissità di alcuni virtuosismi sincopati (o presunti tali), tuttavia ancora riscontrabile in episodi dal pathos altissimo come, ad esempio, “Nocturne” o la conclusiva “Embers”, nella quale sax e lievi melodie di sottofondo cullano l’ascoltatore in un tappeto di sensazioni struggenti. A fine ascolto permane però quell’amaro in bocca percepibile anche lungo l’intera tracklist: se è vero che la band rimane una delle frontiere più irraggiungibili per il tecnicismo metallico del nuovo millennio, è altrettanto corretto denotare un calo generale dell’ispirazione e del calore infuso in “One”, disco che pulsava di talento e vita. Qui il talento c’è ancora, ma la freddezza sembra aver preso il sopravvento. La quadratura del cerchio sembra leggermente più lontana, la nuova formazione dovrà dimostrarsi in grado di riavvicinarsi.