7.5
- Band: TESSERACT
- Durata: 46:45
- Disponibile dal: 18/10/2015
- Etichetta:
- Kscope Music
- Distributore: Audioglobe
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‘Il concept di “Polaris” è semplice. Parla della natura transeunte della verità universale.’ Così Dan Tompkins tende ad introdurre il terzo disco della formazione inglese formatasi embrionalmente nell’ormai lontano 2003 da un’idea di ‘Acle’ Kahney, paladina e portavoce di uno dei sound djent più d’appeal di questi ultimi anni. Formazione che ha contribuito a creare un vero e proprio canone di sound e d’atmosfera per l’intero genere djent ai suoi esordi e che più generalmente può essere considerata uno delle band più significative del presente del prog-rock (non a caso il passaggio da Century Media alla emblematica Kscope), proprio grazie a lavori come “One” del 2011 e soprattutto “Altered State” del 2013, che aveva brillato particolarmente per eclettismo, atmosfera e riuscita complessiva. Il terzo tassello del puzzle discografico dei Tesseract non poteva che ridefinire in maniera definitiva le coordinate che i ragazzi hanno tentato di dare alla loro proposta e in questo senso “Polaris” assurge ad una vera e propria consacrazione del sound Tesseract. Riecco indietro infatti Tompkins, prima impegnato a tempo pieno con i suoi Skyharbor: la voce che più può essere considerata principale ed originaria dei Tesseract, quella voce con cui la band di Milton Keynes aveva fatto breccia nei cuori dei fan con il primo disco “One”, voce poi sostituita da quella di Elliot Coleman (nell’ep “Perspective”) e di Ashe O’Hara (che aveva dato un grosso contributo all’ottimo “Altered State”). Se difficile è trovare un preferito tra queste ugole, certamente si può però sottolineare come la scelta di riportare indietro il buon vecchio Tompkins sia quantomeno significativa per offrire un’impronta ancora più versatile ed eclettica, soprattutto se comparata alla pulizia di vocals del precedente O’Hara. L’intento sembra dunque essere questo e “Polaris” non pecca infatti di risultato finale e per dirla tutta, neanche in qualcosa di parallelamente innovativo e parimenti interessante. Il terzo disco dei Tesseract sembra infatti recuperare, rispetto al precedente “Altered State”, una forma e una struttura più canoniche, sia per quanto riguarda l’intera tracklist sia per quanto riguarda la struttura di ogni singolo pezzo. Non più quattro movimenti divisi in ulteriori parti, ma nove canzoni che però sembrano essere unite dal concept menzionato all’inizio sulla verità universale. “Messenger” e “Survival”, presentate in anteprima prima dell’uscita effettiva del disco, avevano riproposto ai fan quello che sembrava essere l’impatto di “One”, condito però con quelle atmosfere più moderne che avevano fatto la fortuna di “Altered State”. Il resto di “Polaris”, al di là dei singoli, appare ancora più ampio e profondo, caparbio e astuto, capace di intrigare dal primo ascolto eppure di continuare ad essere interessante anche dopo svariate volte: un’assimilazione progressiva come il suo contenuto (in “Utopia” si passa addirittura dalle ritmiche Tool alle linee vocali Faith No More). Il lavoro di groove e di ritmica è sempre impeccabile e già dall’iniziale “Dystopia” sentiamo il basso di Williams impostare delle linee che hanno reso il sound Tesseract inequivocabilmente intricato e interessante (altro esempio esemplare in “Utopia”); nell’album però non sono solo le poliritmie e gli studi di ritmica ad intrigare i più dediti a faccende tecniche: le ricerche melodiche sono infatti presenti e cercano di mescolare impatto e ricercatezza nel modo più congeniale possibile (“Tourniquet” e “Seven Names” in particolare). In poche parole “Polaris” riesce ad impostarsi come summa del lavoro che i Tesseract hanno saputo creare nel corso di questi anni e che riesce a fare contenti tutti i fan della band e probabilmente acquisire nuovi proseliti al verbo della geometria musicale del prog rock di nuovo millennio. Da molti di questi ascoltatori inclini a questo tipo di sonorità “Polaris” apparirà come manna dal cielo e indubbiamente interesserà per il suo essere nuovo e riassuntivo al tempo stesso; per coloro che invece non riescono ad entrare in un sound di questo tipo, inevitabilmente relativo ad un nuovo indirizzo di musica alternativa, questo terzo album degli inglesi non dirà molto. Ma questa è un’altra storia.