8.5
- Band: TESTAMENT
- Durata: 00:45:27
- Disponibile dal: 28/10/2016
- Etichetta:
- Nuclear Blast
- Distributore: Warner Bros
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Tempi duri per i Metallica, che hanno malauguratamente scelto di far uscire il loro nuovo e tanto atteso disco pochi giorni dopo “Brotherhood Of the Snake”. L’hype che si è creato per il nuovo nato di casa Hetfield/Ulrich è destinato a subire un tremendo calo, quantomeno tra gi amanti del vero thrash metal, perché i Testament, lo diciamo in modo chiaro, forte e categorico, hanno sfornato uno dei migliori dischi della loro carriera, un gemma avvelenata di puro e ardente thrash destinata ad essere ricordata. Rispetto ai due precedenti album della band di Berkeley (già molto buoni), la differenza è semplice: questa volta Eric Peterson ha scritto dieci canzoni più dirette, più incazzate, in vari casi più tirate, senza momenti morti, senza cali di intensità e tensione. La title track, posta in apertura, esplode a tutta velocità, con un Gene Hoglan che dietro le pelli sembra voler scatenare l’inferno liberando tutte le legioni comandate dai demoni più pericolosi, Peterson sciorina riff e ritmiche serrate e devastanti, insieme al fido compagno Chuck Billy che con il suo vocione inneggia al pogo più sfrenato. Alex Skolnick impreziosisce il pezzo con la sua proverbiale classe solista, sempre attento a mantenere inalterato il livello generale di violenza. Cosa significa suonare thrash metal? Basta ascoltare la successiva “The Pale King”, un pezzo classico ed incalzante, costruito su un favoloso lavoro di chitarre, dall’attitudine degna dei migliori anni Ottanta, teletrasportata come per miracolo nel nuovo millennio. La coppia d’oro formata da Gene Hoglan e Steve DiGiorgio procede in modo inarrestabile, le linee vocali possiedono un bel mordente melodico, che rende ancora più appetibile la canzone. Altre tracce letali, “Stronghold” e “Centuries Of Suffering”, vogliono semplicemente una cosa: spaccare le ossa ai concerti. Due brani tirati e di grande impatto, brutali e pericolosi come un tritacarne. Con “Seven Seals” invece i Testament rallentano la velocità di marcia nelle strofe, ma rinforzano la corazza sonora con un muro ritmico inespugnabile. Nella parte centrale del pezzo avviene un’accelerazione che si incastra con le parti solista di uno Skolnick magistrale. Gli americani hanno lavorato bene anche sul fronte ritornelli, episodi come “Born In A Rut” entrano subito in testa, perché ‘semplici’ e tradizionali, senza tante inutili svisate. “Brotherhood Of The Snake” fa convivere al suo interno i Testament più classici, dei primi dischi, con le vesti più moderne degli ultimi anni, grazie anche al lavoro di Juan Orteaga alla produzione. In queste settimane abbiamo letto sui media dichiarazioni di Chuck Billy che si sarebbe detto insoddisfatto per aver contribuito in minima parte alla scrittura del disco. Se da una parte possiamo capirlo, non possiamo che lodare Eric Peterson, che da solo è riuscito a sfornare un vero capolavoro. Tanto di cappello! Dicevamo i Metallica, gli Slayer, i Big 4, ma in generale chiunque suoni thrash metal ora si trova con una difficile gatta da pelare, perché per fare meglio dei Testament ci vorrà solo un miracolo…e da oltre vent’anni di miracoli firmati Lars Ulrich non se ne vede nemmeno l’ombra. Un doveroso inchino di fronte ai nuovi re del thrash e ad uno dei migliori dischi usciti quest’anno.