8.0
- Band: TESTAMENT
- Durata: 00:51:08
- Disponibile dal: 27/08/2012
- Etichetta:
- Nuclear Blast
- Distributore: Warner Bros
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Nel 2008 il buon ritorno sulle scene, dopo nove anni, con “The Formation Of Damnation”, album che rilanciava i Testament ai vertici del thrash metal, e oggi, finalmente, la conferma di uno status di primo livello in uno dei sottogeneri più popolari del metal. Già, la band di Eric Peterson e del peso massimo Chuck Billy ha sfornato un album che senza troppi giri di parole mette in riga la stragrande maggioranza delle ultime uscite da parte di formazioni storiche in ambito thrash. Forte di una produzione potentissima a cura di Andy Sneap, della presenza alla batteria di una vera macchina quale è Gene Hoglan e di una serie di ottime idee a livello di ritmiche e linee vocali, “Dark Roots Of Earth” convince grazie ad una buona alternanza tra brani immediatissimi e altri dal sound più ricercato. La opener “Rise Up”, con i suoi cori tanto diretti da essere ricordati dopo mezzo ascolto, e la successiva “Native Blood”, sul cui ritornello troviamo anche accelerazioni quasi in blastbeat, sono solo un antipasto che rende bene l’idea del grande potenziale live che diversi brani di questo album possiedono. Dopo la più cupa e melodica titletrack, che ricorda i colleghi Metallica dei bei tempi nonchè quanto fatto dai Testament su album quali “The Ritual” o “Souls Of Black”, è il turno della devastante “True American Hate”, pezzo a tutta velocità e con cantato più aggressivo, dove il blastbeat di Hoglan dona un tiro irresistibile a dei ritornelli dai cori fatti per essere intonati a gran voce. A metà disco la parte più melodica e rilassata con “A Day In The Death”, dove le incursioni soliste di Alex Skolnick impreziosiscono un mid tempo altrimenti non particolarmente esaltante, e “Cold Embrace”, una bella power ballad dal sound malinconico, sulla quale risalta un cantato pulito incredibilmente melodico per una voce come quella dell’odierno Chuck Billy. Si torna su sonorità decisamente più immediate, semplici e in questo caso vicine al classic metal con “Man Kills Mankind”, che assieme all’altrettanto discreta e conclusiva “Last Stand For Independence” si allinea alle tracce più dirette del lavoro. Tra le due, a conferma dell’alternanza di stili sottolineata ad inizio articolo, “Throne Of Thorns”, brano lungo e variegato, quasi progressivo, dal taglio epico e con un’ottima parte chitarristica solista. Siamo dunque di fronte ad un album vario che tra i suoi pregi ha quello di non tentare banalmente di replicare quanto fatto dai Testament su di un preciso disco del passato. “Dark Roots Of Earth” associa invece più influenze e sfaccettature, richiede qualche ascolto per essere meglio apprezzato e dimostra che la band è in grado di sfornare ancora validissime composizioni di facile presa, ma al contempo di esplorare qualche soluzione differente e meno scontata. Un applauso dunque ad una formazione che, dopo oltre venticinque anni di carriera, è ancora capace di rinnovarsi ed entusiasmare i suoi numerosi fan.