9.0
- Band: TESTAMENT
- Durata: 00:39:19
- Disponibile dal: 05/05/1988
- Etichetta:
- Megaforce Records
- Distributore: Frontiers
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È il 1988, e il thrash americano inizia a mostrare una nuova faccia di sé. Guardando un attimo ai nomi di punta di quel decennio di furore quasi alla fine, troviamo il primo disco dei ‘Tallica senza Cliff Burton, quell’ “…And Justice For All” che segna una svolta non da poco per il genere tutto; gli Slayer, dopo aver partorito l’album thrash più violento di sempre, rallentano e si incupiscono con “South Of Heaven”, e chissà che colpo per chi lo comprò all’uscita…; gli Anthrax segnano un mezzo passo falso con il mood di “State Of Euphoria”, e anche l’aria che tira in “So Far, So Good… So What!” dei Megadeth non è certo tra le più immediate; nel mentre, dall’altra parte del mondo, Iron Maiden ed Helloween uscivano con “Seventh Son Of A Seventh Son” e “Keeper II”, due dischetti che hanno segnato un’epoca.
I Testament avevano già scosso diversi ascoltatori con il loro micidiale debut, “The Legacy”, che, a fronte di un’esecuzione e un songwriting pazzesco, portava l’infuocato marchio della scuola di San Francisco ben vivido nei suoi solchi. Incuranti di quello che accade in casa dei colleghi, i Nostri decidono di andare in controtendenza e a testa bassa, forse addirittura ingrossando le proprie spalle e inizando a diventare sempre più riconoscibili come entità, uscendo dunque con “The New Order”: un album in cui, su dieci brani, almeno quattro sono divenuti classici della band e forse del genere intero; ci riferiamo a pezzi come “Into The Pit”, che butterebbe nel pogo anche il più svogliato dei metallari, o “Disciples Of The Watch”, che si gioca assieme a “Over The Wall” la palma di brano-simbolo della formazione stessa. I Testament degli anni ’80 sono ancora ben ancorati al suono del decennio in corso, distanti dal carro armato che il gruppo diventerà da “The Gathering” in poi, e a onor del vero la sezione ritmica post-2000 e quella dei primi anni non è certo della stessa fattura, con tutto il rispetto per due musicisti come Louie Clemente e Greg Christian, il cui apporto è tuttavia fondamentale per forgiare quel suono ‘alla Testament’ dei dischi di inizio carriera. Del resto, oltre che per il vocione di Chuck Billy, all’epoca già estremamente carismatico, i Testament saranno sempre ricordati per le chitarre: il riffing affilato di Eric Peterson e la classe jazz di Alex Skolnick hanno fatto la differenza sin dal primo momento, portando ad un songwriting aggressivo e raffinato, con assoli sempre gustosi avallati da una ritmica groovy e sostenuta.
Una volta premuto ‘play’ ci troviamo di fronte alla lugubre “Eerie Inhabitants”, con la sua intro evocativa che mostra subito le chitarre, e il suo incedere spaccadenti che chiarisce le coordinate del disco, seguita a ruota dall’apertura indimenticabile della titletrack, il cui ritornello diventerà cantatissimo dal vivo. “Trial By Fire” presenta ancora una intro chitarristica, vero leit motiv dell’album, inganna per un minutino, e poi deflagra in un altro pezzo da novanta, con basso e batteria sugli scudi: a contorno, un altro gran chorus e un riffing indiavolato. Di “Into The Pit” si è già accennato: un tiro pazzesco fa da sfondo al brano più ‘ignorante’ del disco, che ci ha fatto sgolare tante volte di fronte al palco; una canzone che tutti i metallari dovrebbero conoscere a memoria. La breve strumentale “Hypnosis” segue il concept delle intro di cui l’album è disseminato, oscura e atmosferica e chitarra-centrica, ponte di passaggio per l’altro titolo che avevamo già menzionato: un’altra introduzione pronta ad esplodere, “Disciples Of The Watch” è un brano che racchiude un’intera filosofia, quella di un thrash metal che ha fatto scuola, che ha formato migliaia di ascoltatori, e che da lì a qualche anno avrebbe cambiato per sempre i propri connotati stilistici. Riff marziali che ci han fatto sanguinare le dita a forza di rifarli con la chitarra, rullate massacranti, strofa e ritornello che si inseguono senza respiro, per esplodere in una parte centrale da Bibbia del Metallo, con una ritmica gustosa, vero viatico per lividi e ossa doloranti ad ogni concerto della band. “The Preacher”, altro pezzo che non mancherà nelle scalette del gruppo, è un’altra track chiaramente ascrivibile alla band: la voce possente di Chuck Billy, le accelerazioni, l’assolo, la chitarra ritmica sono personali, e il pezzo scorre con una facilità disarmante tra il groove della strofa e la sapienza di Skolnick e Peterson.
A cambiare il tono del disco segue una cover, “Nobody’s Fault” degli Aerosmith, risultando una scelta abbastanza discutibile: stacca troppo con la sua posizione in scaletta, non aggiunge nulla e diventa, in tutta onestà, un brano dimenticabile e che spesso ci troviamo a skippare; forse mancava del minutaggio, forse si voleva strizzare qualche occhiolino, ma di certo se ne poteva fare a meno. Soprattutto perché quando torniamo sui canoni dell’album, con “A Day Of Reckoning”, siamo ancora un po’ straniti: il thrash metal è groovy e grosso, e pur non raggiungendo le vette della prima parte di “The New Order”, si fa comunque ascoltare con piacere, grazie soprattutto alla parte centrale e finale, veri fiori all’occhiello. Il meglio alla fine, si dice, ed ecco che i Testament piazzano come conclusione il punto più alto, in senso prettamente musicale, della loro prima parte di carriera: “Musical Death (A Dirge)” apre con un arpeggio stupendo e così prosegue, un viaggio cupo e melodico, dove i continui assoli raggiungono un apice espressivo struggente e rendono questo brano strumentale un capolavoro fino alla sua ruvida esplosione.
In un’epoca in cui i dischi potevano ancora permettersi di durare quaranta minuti, i Testament riuscirono a pubblicare un classico con una manciata di pezzi rimasti nell’immaginario, che rendono “The New Order” un tassello fondamentale per la discografia di ogni metallaro che si rispetti, che ne dovrebbe conoscere persino le virgole; nonché per chi, magari, ha conosciuto i Testament solo nel nuovo millennio, potendo così andare a scoprire l’altra faccia di questi ‘Gods of Metal’.