8.5
- Band: TESTAMENT
- Durata: 00:55:16
- Disponibile dal: 15/05/1992
- Etichetta:
- Atlantic Records
Spotify:
Apple Music:
Qualche settimana fa, mentre si discuteva con alcuni colleghi della redazione, saltò fuori il tema de ‘I Bellissimi’ e, nell’annunciare il qui presente “The Ritual” come il prossimo a rientrare in questa speciale categoria, si aprì inevitabilmente la parentesi Testament. Risultato? Se da una parte il disco in questione veniva (giustamente) premiato, nonostante il poco successo ottenuto tra i defender più ossuti del gruppo di San Francisco, dall’altra andava addirittura a mettere in discussione la supremazia di altri titoli riconosciuti nel tempo come must assoluti della band (già, proprio quel “The Gathering” dell’amico Dave Lombardo). Ma c’era di più: ci si metteva pure Chuck Billy a gettare benzina sul fuoco, innalzando, in una recente intervista, l’ultimo “Titans Of Creation” come il migliore album pubblicato nel corso della loro carriera. E allora? Come stanno le cose? E’ giusto etichettare “The Ritual” con la targhetta dei ‘Bellissimi’ oppure merita il bollino rosso ad indicare IL passo falso compiuto dal quintetto statunitense? Il discorso è il seguente: sorto nel 1992 (a proposito, auguri per le sue trenta candeline!), dopo che il Black Album dei Metallica aveva sdoganato con un mezzo sacrilegio (o forse più di mezzo, ndR) i pilastri fondamentali del thrash, il nuovo dei Testament è sicuramente uno degli esempi più illustri di questa sorta di inversione di marcia innescata l’anno prima da Hetfield e compagni. Non solo: “The Ritual” è la conferma di come si possa comunque rilasciare qualcosa di assolutamente meritevole senza scendere troppo a compromessi commerciali, snaturando di conseguenza l’essenza primaria di una band. Con questo disco, i cinque della Bay Area hanno infatti dato prova di possedere enormi potenzialità, dimostrando di saper ulteriormente modellare quella forza thrash che già in “Practice What You Preach” aveva rivelato nuovi tratti distintivi rispetto alle prime due uscite discografiche.
Una svolta creativa, sì influenzata ma ben riuscita, con una netta apertura delle sonorità rispetto, per esempio, alle più classiche intenzioni del precedente “Souls Of Black”. Armonia e melodia che fanno comunque rima con heavy metal. Perché “The Ritual”, al netto del suo ‘tradimento’ nei confronti della matrice thrash più oltranzista, mostra di avere tutte le carte in regola per essere considerato un lavoro dai livelli dignitosamente alti. Un testamento (giusto per rimanere in tema), il canto del cigno di un quintetto in grado di sfornare cinque album importanti in altrettanti anni. Chuck, Eric, Alex, Greg e Louie: questa la formazione, la classica formazione dei Testament, guidata per l’occasione dal produttore Tony Platt (già al lavoro con i Motörhead) ed autrice di undici brani in cui sarà proprio la sei corde di Skolnick, insieme a quelle vocali dello stesso Billy, una delle protagoniste dell’intero full-length. Una prova, quella del chitarrista allievo di Joe Satriani, che palesa il desiderio di andare oltre certi canoni compositivi, rivelando così i primi indizi della sua futura dipartita (insieme a quella di Clemente). Poco importa: nel ’92 Skolnick era ancora al suo posto ed è proprio lui ad aprire le danze con un assolo (“Sign Of Chaos”), meno nervoso del precedente “Beginning Of The End”, ma altrettanto preciso ed intrigante. Intro breve ma esemplificativo per la trascinante opener. In poco più di cinque minuti “Electric Crown” crea un perfetto trait d’union tra passato e presente: il riff portante tiene banco su un up-tempo vigoroso e possente, facendo quindi la voce grossa rispetto alle clean vocals imposte da Chuck Billy alla propria ugola, andando così a costruire uno dei migliori singoli rilasciati dal combo americano.
Spesso un album lo si giudica, o meglio lo si inquadra, dalla tripletta iniziale: bene, in “The Ritual” ci spostiamo sino alla traccia numero sei; da “Electric Crown” alla catchy “Deadline”, i Testament ci offrono cinque variabili sonore che spazzolano via quelle critiche prevenute e pervenute nel tempo alla voce ‘mancanza di idee’. E, a coloro che hanno alzato la mano tacciando il disco di essere una copia offuscata del Black Album, rispondiamo che avercene di “So Many Lies”, dell’oscura titletrack o della stessa “Deadline”, con quel suo piglio stradaiolo ed un Chuck Billy vestito da rocker. Più che un clone, “The Ritual” è la semplice risposta dei Testament al disco nero dei Metallica. Avrebbero potuto prendere una strada ancor più cupa dopo “Souls Of Black” (e qualcuno in seno alla band voleva anche farlo), avrebbero potuto gettare la spugna come fatto da altri gruppi. E invece no: i ragazzi di San Francisco hanno modificato il tiro riuscendo ad offrire un prodotto granitico, melodiosamente granitico. Perché anche nelle più similari “As The Season Grey”, “Agony” e “The Sermon”, veniamo premiati da intermezzi strumentali semplicemente goduriosi. A proposito, all’appello manca ancora un brano grazie al quale “The Ritual” può egregiamente sfoggiare quell’etichetta che si accennava ad inizio recensione. Se infatti “Ballad”, presente in “Practice What Your Preach” spiegava già tutto nel suo titolo, “The Legacy” arrivava l’anno successivo con un tasso di qualità maggiore; ma è con “Return To Serenity” che i Testament raggiungono l’apice, scrivendo una ballad semplicemente… bellissima. Una canzone malinconicamente rocciosa ad anticipare la definitiva “Troubled Dreams”, mettendo così la parola fine ad un disco da avere o quantomeno riscoprire con urgenza.