7.5
- Band: TETHRA
- Durata: 00:58:26
- Disponibile dal: 20/03/2020
- Etichetta:
- Black Lion Records
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Il terzo album sulla lunga distanza dei Tethra, “Empire Of The Void”, è rappresentato in pieno dalla copertina: un cuore nello spazio, quasi a simboleggiare lo scambio di energia che si compie eternamente ed in maniera biunivoca fra le due entità, quella umana e quella cosmica, quasi come in un grande respiro. Il gruppo di Novara mette sul piatto dieci brani che partono da un doom molto classico vicino alle coordinate stilistiche dei My Dying Bride, andando ad inserire momenti più gotici e di spessore più ampio, solidi e stabili sulle proprie radici ma abili interpreti della materia che vanno a trattare.
Il respiro, da sempre associato al battito cardiaco, come quello che delinea la prima traccia dal nome “Cosmogenesis”, in grado di far fluttuare subito negli spazi siderali che “Cold Blue Nebula” dipinge con maggior precisione, grazie ad aneliti di tastiere sognanti ed un cantato espressivo alternato al parlato ad opera di Clode Tethra, prima di sfociare in un’accelerazione che aumenta la dose di cattiveria della partitura. La suite in tre parti “Gravity” si apre con la prima tranche delineata dagli arpeggi e dagli intrecci di chitarra, per proseguire nella porzione centrale con una tonalità vocale più profonda (molto gotica), accennando una progressione melodica nel finale, che si spegne come una fiamma nel vento lasciando un alone di freddo. E così, glacialmente acustica, attacca “Gravity Pt. III – Ultimo Baluardo”, salvo poi andare a sciogliersi in un abbraccio di chitarre più robuste (ad opera Federico Monti e Alberto ‘Avenir’ Coerezza, coadiuvati nella parte strumentale dalla sezione ritmica di Salvatore Duca e Daniele Ferru, rispettivamente basso e batteria): finito l’organico polittico sonoro arriva la traccia che dà il titolo all’album, praticamente strumentale se si esclude una melodia sussurrata a bocca chiusa.
“Space Oddity”, cover del Duca Bianco, è resa in maniera personale, specie per quanto riguarda le tessiture che vanno a circondare il cantato espressivo e suggestivo: a seguire “A Light Year Breath”, che grazie alla comparsata della cantante greca Gogo Melone insieme a Clode, diventa un brano in stile Anathema, giocato su tonalità sinistre nella strofa per poi aprirsi alla melodia negli altri momenti. Non c’è calo di tensione nemmeno nelle due tracce finali, che anzi vanno ad aggiungere pregio con “Dying Signal”, dall’andatura più movimentata e corale, ottimo esempio di scrittura, chiudendo con “Ison”, dal respiro (e si torna al tema iniziale) più ampio, un’ascesa verso lo spazio siderale e una luce lontana ma percepibile.
“Empire Of The Void” rappresenta un gruppo in grado di scrivere doom (e non solo) ad ottimi livelli, con una variabilità non comune e che riesce a coinvolgere l’ascoltatore tramite le sfaccettature del proprio suono.