7.5
- Band: TETRARCH
- Durata: 00:31:51
- Disponibile dal: 09/05/2025
- Etichetta:
- Napalm Records
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Correva l’anno 2001 quando uscivano “Satellite” dei P.O.D., “Break The Cycle” degli Staind e “Toxicity” dei System Of A Down, in quello che col senno di poi è stata l’ultima stagione d’oro del nu metal. Ad agosto vedeva la luce anche il debutto degli Adema, formazione che fece parlare di sé prima per le parentele illustri (il cantante Mark Chavez è il fratellastro di Johnathan Davis dei Korn) e poi grazie a singoli di successo come “Giving In” e “Freaking Out”, capaci di portare l’omonimo disco a vedere un milione di copie portando la band di Bakersfield sul main stage dell’Ozzfest; un successo evidentemente effimero e figlio del tempo, con la carrozza tornata zucca nel giro di pochi anni ed esibizioni presto relegate alle sagre paesane tra un cambio di line-up e l’altro.
Salto in avanti di un paio di decenni: il nu metal è tornato prepotentemente di moda tra i giovani sia nei suoi esponenti storici (basti citare il rinnovato entusiasmo per Limp Bizkit, Korn e Linkin Park) che nelle nuove leve, di cui i Tetrarch sono senza dubbio una delle migliori espressioni. A differenza di molti coetanei, che alle influenze nu aggiungono diversi elementi che spaziano dal metalcore all’elettronica più spinta, la band di Atlanta al contrario ripercorre le orme più classiche del genere – dai riff sincopati ai salisecendi vocali, passando per le contaminazioni elettroniche e i testi ansiolitici – aggiungendo qualche assolo ad opera di Diamond Rowe (come ad esempio in “Live Not Fantasize” o in “Erase”), prima chitarrista con una signature model della Jackson e sempre più volto social della band insieme al cantante/chitarrista Josh Fore.
Rispetto al precedente “Unstable” non si riscontrano più tracce di Slipknot, quindi il sound di “The Ugly Side Of Me” è facilmente riassumibile come un incrocio tra l’allure malato dei Korn e l’urgenza melodica dei Linkin Park, ovvero in altri termini la versione migliorata dei suddetti Adema. Il riff korniano di “Anything Like Myself”, con in sottofondo gli immancabili scratch, ci riporta ai fasti di “Untouchables”, e da qui in poi il copione non si discosta molto restando nei dintorni di Bakersfield, con giusto qualche concessione più linkinparkiana (“The Only Thing I’ve Got”).
L’unico elemento novità è il debutto della già citata Diamond come co-protagonista dietro al microfono su “Never Again (Parasite)” e nella title-track posta in chiusura, mentre il cantante titolare si avvicina più al già citato Mark Chavez che a Jonathan Davis.
Oltre all’effetto novità, manca in quest’occasione un po’ di quella varietà che aveva caratterizzato il precedente album (ad esempio la versione accelerata dei Disturbed di “Pushed Down” o la furia percussiva di “Negative Noise”), ma l’impressione è che la band abbia optato per un sound più compatto e diretto, con canzoni come “Best Of Luck”, “Crawl” o “Cold” studiate per far ondeggiare e saltare il pubblico sotto i colpi dei riff ereditati da Munky e Head (quando si dice ‘Children Of The Korn’, citando l’omonima canzone).
I vari Adema, Taproot, Spineshank e tutti gli eroi nascosti dell’Ozzfest Second Stage possono finalmente riposare in pace: la loro eredità è in buone mani, e stavolta i Tetrarch sono in prima fila nella New Wave Of Nu Metal.