6.0
- Band: THAUROROD
- Durata: 00:50:31
- Disponibile dal: 16/02/2018
- Etichetta:
- Drakkar Records
- Distributore: Audioglobe
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Tra le numerose band power metal nate nel Nord Europa dopo il 2000 e rimaste successivamente un po’ nascoste nel sottobosco ci sono anche i finlandesi Thaurorod che, almeno inizialmente, sembrava avessero tutte le carte in regola per ottenere una discreta visibilità, grazie alla presenza di due musicisti molto attivi nel settore come Emil ‘Emppu’ Pohjalainen e Joonas Pykälä-aho (Amberian Dawn, Epicrenel), a un album di esordio di buona qualità come “Upon Haunted Battlefields” e ad alcune date importanti in compagnia di band note, come ad esempio i Symphony X, nell’ormai lontano 2010; rammentiamo persino una data all’Alcatraz di Milano al “Power of Metal” in compagnia dei Nevermore e della sopracitata band guidata da Russel Allen. Purtroppo per svariati motivi come ad esempio il continuo cambio di vocalist, tra i quali troviamo persino il nostro caro Michele Luppi, la band successivamente non è più riuscita a guadagnare una visibilità degna di questo nome, riuscendo a ottenere un discreto successo praticamente solo in patria e dintorni, anche con l’appena discreto disco successivo “Anteinferno”. Oggi i nostri ci riprovano con un nuovo album, che si discosta dai precedenti principalmente per via di alcuni elementi di stampo marinaresco all’interno delle tematiche e del comparto sonoro. A parte ciò siamo, come prevedibile, di fronte a un album di genere power metal relativamente anonimo e simile a molti altri che si possono trovare sul mercato, il che ricordiamo non essere necessariamente un male dato che in questo genere abbiamo visto molte band sì derivative ma in grado comunque di proporre album molto ispirati ed esaltanti; purtroppo i Thaurorod qui ci presentano un lavoro abbastanza statico, con una produzione da rivedere, soprattutto per quanto riguarda il sound di chitarre, tastiere e orchestrazioni, e caratterizzato da un songwriting decisamente non all’altezza della concorrenza; anche la voce di Andi Kravljaca gode di alti e bassi, poiché in alcune tracce dove è necessario raggiungere delle ottave alte risulta perfettamente a suo agio, mentre in altre il suo timbro sembra piuttosto freddo e poco idoneo, soprattutto nelle fasi in cui è richiesto cantare note più basse. La tracklist non offre quindi molti momenti degni di menzione, fatta eccezione per le velocissime “Feed the Flame” e “My Sun Will Rise” che, grazie a un comparto melodico ben sfruttato unito a una potenza non indifferente, possono tranquillamente riuscire a emozionare un amante del genere. Per il resto l’album non merita molte parole in più, si tratta in fin dei conti del tipico disco power senza infamia e senza lode, che se fosse stato più curato sotto diversi punti di vista avrebbe potuto potenzialmente godere di una menzione positiva, così come fu per l’album d’esordio uscito otto anni fa, il quale risulta ancora oggi l’unico lavoro davvero degno di nota del combo finlandese.