8.0
- Band: THE ABBEY
- Durata: 00:53:05
- Disponibile dal: 17/02/2023
- Etichetta:
- Season Of Mist
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Season Of Mist è un’etichetta che sa scegliere con oculatezza i progetti su cui apporre il proprio logo, soprattutto quando si tratta di un album di debutto, che diventa un ulteriore tassello in un percorso editoriale curato e riconoscibile. Non fa eccezione “Word Of Sin”, opera prima dei finlandesi The Abbey, che ci ha pienamente convinto con un’alchimia di doom, occult rock, progressive e tematiche esoteriche.
Dietro i The Abbey, comunque, non ci sono affatto degli esordienti alle prime armi: il fulcro della formazione ruota intorno a Jesse Heikkinen, chitarrista, autore e voce maschile, a cui si affiancano un manipolo di musicisti, tra cui un paio di nomi ben noti della scena, ovvero l’ex Sentenced Vesa Ranta alla batteria e la cantante Natalie Koskinen dei Shape Of Despair. Heikkinen è riuscito in pochi mesi a costruire questa nuova realtà, partendo da un suo desiderio di provare a cimentarsi in un lavoro dalle tinte doom, ma ben presto le composizioni hanno preso una strada affascinante e tortuosa, che abbandona le sonorità più funeree del doom, abbracciando invece gli aromi inebrianti e sulfurei dell’occultismo crowleyiano. L’abbazia evocata dal monicker, infatti, altro non è se non l’Abbazia di Thelema, la villa in Sicilia che ha accolto per qualche tempo le perversioni di Aleister Crowley e dell’Ordo Templi Orientis, prima della cacciata ad opera del governo di Mussolini.
Musicalmente, come dicevamo, il motore primario è un occult rock dalle tinte doom, che però non trova la sua massima espressione nella pesantezza plumbea della morte, ma si arricchisce con vibrazioni provenienti di mondi molto diversi: gli Opeth più settantiani, vaghe reminiscenze del prog rock degli anni d’oro (King Crimson su tutti), e ancora atmosfere horror a là Ghost (per quanto totalmente prive della loro vena catchy e melodica), note psichedeliche ed un uso dei cori sempre azzeccato, con una efficace fusione tra voci maschili e femminili.
Per rendere più chiara questa panoramica, suggeriamo al lettore tre brani, che a nostro parere rappresentano al meglio le sonorità di questa interessante formazione. Il primo è “A Thousand Dead Witches”, che privilegia lo stile più diretto e melodico della band, poi “Starless”, che al contrario punta tutto su sonorità eteree e spettrali, guidate dalla voce di Natalie Koskinen; per concludere, infine, ecco la splendida “Old Ones”, una lunga cerimonia lovecraftiana in cui tutte le caratteristiche finora descritte si fondono in una mirabile evocazione delle più inconcepibili creature delle profondità cosmiche.
C’è spazio per migliorare ancora? Senza dubbio sì, perchè abbiamo la sensazione di avere comunque a che fare con una band in pieno sviluppo artistico, che ancora sta cercando di trovare la propria strada, dando una forma ad una massa ancora non del tutto plasmata. Ma, se le premesse sono queste, sentiremo ancora parlare dei The Abbey.